Covid, pochi dati o troppe chiacchiere?

Tutte e due. Ma fanno peggio le troppe chiacchiere.

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In questi giorni abbondano le reazioni indignate alle proposte di “smettere di pubblicare i dati” sulla pandemia. Secondo me, parecchie di quelle reazioni e le relative controproposte, pur sicuramente in buona fede, non avrebbero affatto l’effetto sperato.

Un buon esempio di quel sentimento e' questo tweet:

“Siamo al colmo dei colmi: si leggono dichiarazioni sul pubblicare meno dati, quando già sono pochi, aggregati e a volte assenti. Dovremmo parlare soltanto di qualità, almeno come se fossimo nel 2013."

E un mio contatto Facebook ha elaborato lo stesso concetto sulla sua bacheca, con queste parole:

“Leggo che qualche esperto propone al Governo di smettere di pubblicare il report giornaliero dei dati sulla pandemia. A mio parere si tratterebbe di una scelta sbagliata, figlia di una logica paternalistica."

“Il problema non sono mai i dati. Anzi, abbiamo sempre bisogno di dati, aggiornati, affidabili, aperti e riutilizzabili."

“Dobbiamo insegnare alle persone come quei dati si leggono e si interpretano. I cittadini vanno trattati come adulti (a cui spiegare le cose) e non come bambini (a cui nasconderle)."

“La raccolta, la pubblicazione e l’accesso ai dati è una questione di libertà, di democrazia."

La mia reazione di getto a quel post su Facebook e' stata “sono fortemente in disaccordo”, seguita da tre/quattro paragrafi di spiegazione. Qui pubblico una versione modificata di quella reazione istintiva, per chiarire cosa mi sembra realmente “mal diretto” in quelle reazioni, e davvero grave per la societa' in generale (anche al di fuori delle pandemie).

Smettere di fare COSA? e CHI?

Innanzitutto “insegnare alle persone come quei dati si leggono e si interpretano” e' ancora e solo la stessa cosa che tutti noi che predichiamo Open Data ripetiamo piu' o meno dal 2010. Cosa giustissima e indispensabile, certo. Ma ormai dovremmo aver imparato che ci vogliono generazioni, o almeno decenni, mentre qui si tratta di arrivare sani di mente a primavera. Senza contare che il problema vero di oggi sono proprio quelli straconvinti di saperli gia' interpretare benissimo, i dati, e quindi di non aver bisogno di nessun insegnamento.

Quello che invece andrebbe fatto ieri e' insegnare a giornalisti e simili come comunicarli decentemente, i dati pubblicati dagli esperti, anziche' fare sistematicamente il contrario, in almeno due modi.

Signora mia, quanto sono ignoranti quelli la'…

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<u><em><strong>CAPTION:</strong> 
<a href="/2021/04/of-newspapers-hiding-what-other-newspapers-wrote/" target="_blank">OK, ma per colpa di CHI?</a>

</em></u>

La prima cosa che fa pena sono le testate che gli articoli sul COVID fatti bene li mettono dietro paywall (anche in maniera imbarazzante, come questa di Repubblica), e poi riempiono il resto dello spazio con attacchi sprezzanti agli ignoranti che si informano solo dal cuggino su WhatsApp, o sui siti di bufale, diventando estremisti, chissa' perche'.

Che male v’hanno fatto le percentuali?

Il secondo scandalo e' quello che segnalavo un anno e mezzo fa, e va avanti ancora oggi.

La grande maggioranza dei titoli e tabelle in apertura di ogni telegiornale o quotidiano da ormai 20 mesi fa pena. Davvero. Perche' quasi nessuno ha ancora capito che fa solo danno dire cose come “oggi negli USA ci sono stati mille morti, qui 300” quando la popolazione USA e' ~6 volte la nostra”? Cioe', in generale, perche' sparare valori assoluti e “istantanei”, anziche' (non sempre, ma quasi) soltanto PERCENTUALI o tendenze, per permettere a chiunque di confrontare da solo mele con mele? E perche' non sostituire le tabelle con grafici semplici, per mostrare meglio tendenze e accelerazioni di varie curve?

Terzo, e fondamentale: il vero problema non e' il pubblicare troppi dati

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I dati vanno pubblicati spesso e bene. Certo. Basta non illudersi che ottenere domani _” dati, aggiornati, affidabili, aperti e riutilizzabili” sulla pandemia risolverebbe i problemi “sociali” e di fiducia pubblica che abbiamo oggi per la la pandemia, o per la sua gestione.

A quel livello, il vero problema non e' quanti o quali dati sono disponibili, e' parlarne troppo. E sia chiaro, non sto parlando di “dare troppo spazio ai no-vax”, o troppo spazio alle sole posizioni “ufficiali”. Sto parlando di quantita' pura e semplice, indipendentemente dal contenuto.

Quando e' troppo e' troppo, qualunque sia l’argomento. Se ti parlano 12 ore al giorno della STESSA cosa per venti mesi diventi isterico e sospettoso. Anche se lo fanno sempre nel miglior modo possibile, coi migliori dati possibile. Qualunque sia l’argomento, alla fine c’e' il rigetto, che puo' causare solo apatia, complottismo o come minimo “buttarla in caciara”, come si dice a Roma. Anche se sei un premio Nobel, o un laureato in statistica. Fidatevi, se siamo tutti isterici in buona parte dipende proprio da questo. A diversi livelli, l’infodemia sta facendo almeno altrettanti danni della scarsa qualita' dei dati pubblicati'.

Sono strasicuro che se TV e siti “d’informazione” iniziassero a discutere dei giorni della settimana 12 ore al giorno tutti i giorni come fanno col virus, presto apparirebbe chi considera il concetto stesso di settimana un complotto dei poteri forti, strillando “Perche' non possiamo avere tre martedi' ogni sei giorni? NONCIELODIKONO!!!"

E allora? Allora stop.

In questa Italia del 2022, l’ideale sarebbe se (fermo restando il dovere di pubblicare dati grezzi accurati) si smettesse di parlare del COVID, in qualunque forma, piu' di un’ora al giorno per canale TV, o in piu' di uno/due articoli al giorno per testata online o cartacea.

Aspettando quel giorno, la seconda miglior soluzione, praticabile davvero da tutti, sarebbe smettere di “informarsi” bulimicamente sul COVID, da subito.

Ovvero, smettere ora di leggere o ascoltare qualsiasi cosa relativa al COVID per piu' di un’ora, anzi 30 minuti al giorno, in totale. Di qualunque tipo, in qualunque formato. Sceglietevi attentamente le fonti, ma non usatele piu' di 30/60 minuti al giorno. Passati quelli, godetevi un libro o film su tutt’altri temi, giocate a carte, passeggiate se potete… ma non “ingoiate” piu' nulla sul COVID, e non commentatelo su social e WhatsApp eccetera… fino al giorno dopo.

N.B: che l’infodemia sia un problema grosso non me lo sono certo inventato io. Io sto solo facendo notare che pure tre ore di talk-show al giorno sul COVID, pro o contro i vaccini e' uguale, ormai sono solo infodemia che fa piu' male che bene.

Vale pure per i sondaggi!

Gia’che ci sono , “quando e' troppo e' troppo” vale pure per i sondaggi di voto che la 7 e forse anche altri media fanno OGNI DANNATA SETTIMANA. Nel migliore dei casi, sono un riempitivo inutile, Nel peggiore, sono un’altra fonte di apatia e rigetto, cioe' un danno, per una democrazia seria.