Pesaro, Microsoft e OpenOffice: domande e conseguenze per tutti
L’altro giorno ho riassunto i punti più discutibili o incerti dei vagabondaggi informatici del Comune di Pesaro, anticipando “conseguenze e domande, sia per chi li critica che per Pesaro, di cui ancora si è parlato poco o niente”. Sono quelle che, almeno per Pesaro, hanno poco o niente a che fare con il tema iniziale, cioè l’uso di software Open Source nelle Pubbliche Amministrazioni. E quelle, per l’Open Source in quanto tale, sulle strategie più efficaci per proporlo. Partiamo da Pesaro. Contando sul fatto che il suo sindaco Matteo Ricci, essendo anche vicepresidente dell’ANCI, porti i temi che seguono all’attenzione di tutti i comuni Italiani.
La legge è stata rispettata?
Sintetizzando Italo Vignoli “per acquisire Microsoft Office 365 il Comune di Pesaro deve aver prodotto una valutazione comparativa che dimostri in modo inequivocabile l’impossibilità di utilizzare OpenOffice per il lavoro d’ufficio, cosa che non è umanamente possibile, se non per una percentuale risibile dei 600 PC. E infatti, della valutazione comparativa non c’è traccia, per cui - ai sensi del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) - c’è qualcuno che non ha rispettato la legge." Che dice il Comune in proposito?
Dove sono i formati liberi?
I programmi software sono penne, i formati di file alfabeti. Se i formati sono davvero liberi, che il software sia chiuso o no ha molta meno importanza. Banalizzando per motivi di spazio, usare formati di file proprietari è come scrivere bandi di concorso sicuramente leggibili solo con occhiali di una certa marca. Una cosa davvero cretina, no? Qualsiasi sindaco provasse a farlo verrebbe cacciato, fra risate generali. Invece coi file ancora succede spessissimo, in tutte le PA italiane. Sempre alla faccia del CAD, fra l’altro.
Come sta lavorando il Comune di Pesaro? Produce e accetta testi, fogli elettronici e presentazioni SOLO nel formato libero OpenDocument? Oppure ancora diffonde e tollera i formati nativi di Microsoft Office? Perché nel primo caso, che usi Office 365 fa molto meno danno (il che non vuol dire che vada bene). Nel secondo, sbaglierebbe ANCHE se usasse software Open Source.
Che succede se Pesaro e Microsoft divorziano?
Possiamo parlare quanto vi pare di costi totali, efficienza eccetera. Ma “Il Sindaco non fa scelte tecniche” non regge proprio come scusa. Alcune scelte e responsabilità sul software sono politiche, non tecniche. Una Pubblica Amministrazione è una parte responsabile di uno Stato in teoria sovrano, che gestisce informazioni e servizi di proprietà dei cittadini.
Perciò, con qualunque strumento li tratti, deve innanzitutto garantire che tutti i dati e documenti digitali corrispondenti siano effettivamente di proprietà dei cittadini. Non “a noleggio” da qualcuno che potrebbe, in qualsiasi momento, ignorare richieste di assistenza o aumentare i prezzi come vuole perché tanto non ha concorrenti. In generale, si potrebbe rispettare questo vincolo anche con software proprietario, ma una PA non lo può ignorare. In pratica, cari Sindaco e Comune di Pesaro:
- Tutti quei documenti, dati metadati eccetera, che, con Office 365 e (credo) SharePoint, ora seppellite sempre più dentro formati e altre strutture esclusivamente Microsoft, potreste O NO continuare a utilizzarli al 100% se fra un anno voleste o doveste cambiare fornitore, per qualsiasi ragione? O sapete già bene che farlo sarebbe un bagno di sangue molto, molto peggio di quello OpenOffice? Perché in questo caso è proprio come se aveste assunto un dirigente incompetente, ma garantendogli per contratto una buonuscita più costosa dei danni che potrebbe combinare. Ai cittadini, mica a voi.
- Come sopra, ma anche (almeno) per file in formato AutoCAD, che è una gabbia pure peggiore di quella Microsoft, ma di cui ancora nessuno vi ha chiesto, mi pare
Sia chiaro: problemi simili possono senz’altro presentarsi anche con software Open Source, ma in quel caso almeno sarebbe solo questione di soldi e personale più competente di chi (non) gestì la migrazione a OpenOffice. Con software e formati proprietari, invece, cambiare fornitori sarebbe probabilmente impossibile per ragioni legali.
Dove sono gli Open Data?
Se non sapete cosa sono gli Open Data, leggete qui. Per ora, ci basta sapere che sono utilissimi per “dar vita a un modello di partecipazione attiva” come dice il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci. Quindi, dove diavolo sono gli Open Data completi su tutta ‘sta storia? Budget e spese effettive, richieste di intervento help desk, eccetera? Perché, se ci fossero stati, gli errori sarebbero saltati fuori molto prima, e adesso non ci sarebbero certe polemiche. Anzi, in generale, quanti e dove sono gli Open Data del Comune di Pesaro? Al momento, nel sito del comune, Google trova “Open Data” solo:
- Nella piattaforma programmatica del sindaco Matteo Ricci, ma solo in riferimento ai trasporti pubblici
- nel “Piano Operativo di razionalizzazione delle società partecipate dal Comune di Pesaro”, ma solo per le banche dati di quelle società
- mentre nella sezione “Amministrazione Trasparente” del sito del Comune non c’è traccia del termine, nè di licenze Open dei vari documenti disponibili.
Bah, almeno da oggi in poi grazie a Office 365, sarà sicuramente possibile mettere tutto in rete in tempo reale. No?
Che benefici ci saranno per occupazione e sviluppo LOCALI?
Che Microsoft fattura in Irlanda l’ho già ricordato nel post precedente. Ora è il momento di chiedere: usare Office 365 quali impatti concreti (numero di posti di lavoro, tasse locali eccetera) avrà su occupazione e formazione locale? Oppure finirà come col mitico Centro Microsoft in Puglia, di cui non s’è più sentito niente?
Chi controlla come si lavora nel Comune di Pesaro, e come?
In base alle informazioni fornite dal Comune stesso, almeno una cosa è certa: Pesaro ci ha messo tre o quattro anni per accorgersi che aveva aggiornato una sua infrastruttura (quale fosse, importa ben poco) malissimo e solo a metà, buttando trecentomila Euro più parte di quelli impiegati per rifarla di nuovo.
Perché c’è voluto così tanto per accorgersene, e soprattutto: chi paga (o ha già pagato, l’importante è saperlo)? Perché mi pare innegabile che a Pesaro ci sia almeno una persona che, come minimo, deve restituire qualsiasi svariate gratifiche di fine anno o aumenti di stipendio, e forse poi cambiare anche mestiere. Per quante e quali fasi di questa storia, giudicate voi, basta che si vada a fondo. Inoltre: che misure sono state adottate per accorgersi di sprechi futuri in meno di quattro anni (in tutta l’amministrazione comunale, non solo quel settore)?
Conclusione? Seguire i soldi (tutti) non il software. Ora, e fra un anno
Dice il rapporto che dal passaggio alla nuova infrastruttura informatica “non ci si aspetta alcuna perdita di produttività." Perdita? Se Office 365 fa anche solo la metà di quel che promette il rapporto, qui deve esserci un aumento netto, altro che perdita. Su tutti i servizi, non solo quelli informatici.
E in effetti, Matteo Ricci ha dichiarato proprio che “grazie alla piattaforma di produttività adottata e agli strumenti di comunicazione integrata e collaborazione e possibile recuperare efficienza e ridurre la spesa IT per dedicare più risorse ai servizi sul territorio”
Quindi, cari Sindaco e Comune di Pesaro, adesso sono cavoli vostri. Se è così possiamo e dobbiamo smettere di parlare di software, perché non avete alternative. Diciamo che il Comune, come la VIS domenica scorsa, finora è stata “/imprecisa e sprecone” ma può essere ancora fortunato, come la VIS domenica scorsa, e ripartiamo, cercando di segnare prima del novantunesimo. Usate quell’infrastruttura da subito (anche) per misurare e pubblicare continuamente come Open Data produttività, spesa pubblica, qualità di tutti i servizi, appalti pubblici eccetera… Perché fra un anno (non quattro) saremo in tanti a chiedervi cos’è migliorato.
Ce n’è pure per l’Open Source
Io uso solo software Open Source, anzi Software Libero, e penso che più ce n’è in giro, soprattutto nelle Pubbliche Amministrazioni, meglio è per tutti e per l’innovazione vera. Però sarei felice se questa storia desse una bella mazzata a certi modi di promuovere quel software, e l’alfabetizzazione digitale in generale.
Per quanto riguarda la seconda, parlando di Pesaro e OpenOffice, Dario Cavedon ha scritto che “la formazione è il fattore principale di successo nella migrazione da una piattaforma software a un’altra. Sicuramente il personale del Comune di Pesaro è stato formato poco o male a OpenOffice, tanto da giustificare un notevole aumento… delle richieste di help-desk." Su questo non sono completamente d’accordo. Primo, perché dai resoconti sulla “migrazione” a OpenOffice è evidente che molti di quei problemi erano causati dall’aver usato coi piedi tutto il software che c’era PRIMA. Quindi sembra più appropriato dire che la formazione è il fattore principale per usare decentemente qualsiasi software.
Secondo, e soprattutto, perché nel 2015 una qualsiasi suite da ufficio non è più “nuove tecnologie” da almeno vent’anni. Formazione di base su suite da ufficio, con soldi pubblici, a chi le usa già da anni? A Pesaro su OpenOffice ne hanno fatta poca e male, sprecando soldi, ma non dovevano fare nemmeno quella! L’ho già detto nove mesi fa, e questo caso lo dimostra.
Quanto all’Open Source:
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parlare di costi delle licenze è controproducente. Almeno con le PA, non vale mai come argomento. E in qualsiasi caso in cui si vende l’automobile a chi poteva andare in bicicletta, convincendolo che VOLEVA andare a 200 all’ora, è proprio fuori tema
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promuovere il software libero anzichè, prima e sempre, i formati liberi, è controproducente. Sono quattordici anni che lo dico, anzi quindici, e questo caso lo dimostra.
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proporre ancora (principalmente) suite da ufficio, nel 2015, è controproducente. Perché, e su questo Microsoft e suoi partner hanno assolutamente ragione, se prima del software non cambi completamente il modo di lavorare, cambia poco. Certo, poi gli amministratori devono avere gli attributi e i mezzi per affrontare le implicazioni sul personale, ma quello è un altro discorso. Pure questo l’avevo già detto nove mesi fa, e questo caso lo dimostra. Ormai, è ora di martellare su sviluppo, e soprattutto riuso vero, di software libero per cloud pubblici,
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infine, e soprattutto, parlare di software anzichè di quello che effettivamente serve e interessa ai cittadini è sbagliato
Rileggetevi la prima parte di questo post. Sono tutti argomenti e termini validi per qualsiasi servizio o spesa pubblici, molto più spendibili al bar di quelli usati finora su questa storia. Se volete riempire di Open Source le PA italiane, a me va benissimo. Ma ci riuscirete solo parlando di software il meno possibile. E pure questo lo dico da un pezzo.
Stacchetto pubblicitario autopromozionale finale: prima dei corsi di formazione su programmi software, oggi nelle PA vanno fatti corsi come questi. Fuori, invece, servirebbero corsi come questi. Fateli voi, se volete, ci mancherebbe, mica ho l’esclusiva. Ma fate quelli, almeno quando chi paga sono tutti i cittadini.
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