Su Facebook e l'analfabetismo digitale di educatori e volontari

Un paio di settimane fa (cioè prima della puntata di Report sui social network!) ho avuto uno scambio di email molto interessante con “Carlo”, che fa servizio in un’associazione che fa volontariato fra bambini e adolescenti. Questo è un riassunto della nostra conversazione, col suo permesso e vari corsivi e grassetti aggiunti da me. Evito di proposito di dare il nome reale di Carlo e della sua associazione perchè il problema che descrive è grave ma assolutamente generale, largamente presente fra tutti gli educatori e gli operatori del sociale, professionisti o no. A partire dagli insegnanti.

“Carlo: La maggior parte dei miei collaboratori non credo sappia usare bene il computer. Per usare bene il computer non intendo programmare, ma per esempio non entrare in crisi per installare un programma, saper decidere quale programma è meglio, non strabuzzare gli occhi alla parola “browser”. Molti non hanno neppure la consapevolezza di cosa sia un “sistema operativo” e del fatto che il loro sia illegale e craccato. O non si pongono il problema. E la maggior parte dei ragazzini è nelle stesse condizioni, aggravate dal fatto che il computer usato è quello “di casa”, per cui prima di installare nuovi programmi occorre il permesso “parentale”.

E difficile farsi educatori di qualcosa che non si conosce… è l’ignoranza dell’informatica a creare i problemi maggiori in tal senso. E secondo me è una nuova forma di analfabetismo.

Un altro problema è la pigrizia: io avevo fatto un blog per il nostro gruppo. Non sono mai riuscito a farci andare i ragazzi, ma ora abbiamo un gruppo su Facebook e lo controllano tutti. Perché? Bastava iscriversi ai feed Rss del blog o ricevere le notifiche via email, no? Un sito nostro mi sembrava molto più libero. Ma evidentemente costava più fatica…

Il nostro gruppo su Facebook non l’ho creato io ma un ragazzo, di sua iniziativa. Io mi sono fatto aggiungere come amministratore nel tentativo di usarlo per portare qualcuno sul blog, visto che avevo perso parecchio tempo a sistemarlo. Tentativo fallito.

Io stesso sono stato molto reticente a iscrivermi a Facebook (ho ceduto qualche mese fa), ma alla fine è uno strumento di comunicazione. Per esempio, la chat. MSN e Skype funzionano molto meglio, però non c’è nessuno con cui chattare. Da quando mi sono iscritto risparmio un sacco di SMS. Se voglio comunicare devo andare dove è la gente, sennò faccio come Platone che per dare forza alle sue argomentazioni contro la scrittura fu costretto a scriverle… Ovviamente tutte le comunicazioni importanti viaggiano via e-mail o telefono.

Però per tante cose Facebook è comodo e funziona, purtroppo. Dico purtroppo perché non ne apprezzo le politiche commerciali, la scarsa libertà, il fatto che sia usato solo perché è di moda. Facebook mi piace poco perché ha poche libertà di moderazione, non posso cambiare grafica, è “a scatola chiusa” e io sono abituato a fare fare al computer come voglio io, non ad adattarmi a quello che “dice lui”.

Quanto alla pubblicità in Facebook… Facebook già aveva le informazioni di chi lo usava (e tutti i ragazzi lo usavano già). Se devo vedere comunque la pubblicità, almeno sfrutto appieno anche il servizio. E alla fine, Google fa lo stesso con Gmail e nelle ricerche. Hotmail pure. Basta non guardare la pubblicità.

Marco: Oltre a ribadire che abbiamo un problema serio (troppi educatori assolutamente impreparati al digitale), il racconto di Carlo mi piace perché mi pare un’ulteriore prova di un’altra cosa importante: tutta la manfrina dei “nativi digitali” che per definizione sono competenti solo perché hanno il computer davanti fin da neonati in realtà è in buona parte un mito privo di sostanza. “Non strabuzzare gli occhi alla parola browser” non significa affatto capire veramente certe cose, altrimenti Carlo non si sarebbe certo ritrovato col blog libero ma vuoto ma il gruppo Facebook frequentato regolarmente.

Nel nostro scambio di email, io ero d’accordo con Carlo con due eccezioni. In questo contesto, secondo me nè il discorso che “se voglio comunicare devo andare dove è la gente”, nè l’ultimo paragrafo sulla pubblicità stanno in piedi.

Essere su Facebook per contatti iniziali, cioè per invitare a partecipare chi non si riuscirebbe a raggiungere in nessun altro modo? Ottimo! Invece, dicevo a Carlo, usare un gruppo Facebook come sito/mezzo d’informazione interno, ufficiale, della propria comunità, è tutt’altra cosa.

Lo scopo di Facebook è raccogliere informazioni sui suoi utenti “spiando” tutto quello che questi fanno, per farle usare automaticamente a chi paga per inserisce pubblicità dentro Facebook. Facebook è gratis solo perché mette sulle pagine pubblicità che viene automaticamente adattata a ogni utente in modo che questi abbia più probabilità di credervi. Usarlo come “sede” digitale è come accettare, solo perché è gratis e carina, una stanza piena di poster pubblicitari che il padrone scrive su misura per i ragazzi del tuo gruppo, man mano che ne ascolta le conversazioni.

Se la seconda cosa non va bene, tanto più nel caso di minorenni, non va bene nemmeno la prima. Il fatto che nessuno o quasi se ne accorga solo perché l’analfabetismo informatico è dilagante non cambia nulla. Nè fa differenza se “tanto i ragazzi sono già tutti iscritti”. Starci per i fatti propri “nonostante” gli educatori è completamente diverso dallo starci anche perché è l’unico modo di partecipare alle attività del gruppo. Perché più informazioni aggiungi ai profili di quei ragazzi meglio le inserzioni vengono mirate, e più indifesi si ritrovano. É lo stesso discorso che ho fatto a proposito delle scuole (vedi la parte sui Piani di Offerta Formativa qui e la stessa critica fatta da Lauren Weinstein a tutte le organizzazioni che usano Facebook per “lavarsi le mani” di tutti o quasi gli sforzi e la responsabilità di moderare i commenti che spetterebbe a loro, buttando allo stesso tempo giù per il cesso la libertà di parola in casa loro." Certo, poi in pratica Facebook può essere l’unica soluzione praticabile, non mettiamo in croce chi davvero non ha alternative. Basta aver chiaro come funziona veramente, e il fatto che non è la soluzione migliore per tutto.