Se vogliamo una società più prospera ed equa, l'educazione non è la risposta

Silvio Berlusconi attacca pesantemente la Scuola Pubblica e la riforma Gelmini la mette in ginocchio. Pierluigi Bersani risponde che “La scuola pubblica è il luogo in cui l’Italia costruirà il suo futuro. Non permetteremo che Berlusconi la distrugga”. Anche un appello per la Scuola Pubblica insiste sul tema del futuro, invitando a firmare perché la Scuola Pubblica “non è solo un capitolo del Bilancio dello Stato, ma il più grande investimento sul capitale umano e sul futuro del nostro Paese”.

Su questo sfondo ho appena scoperto un grande articolo di Paul Krugman sul New York Times, intitolato Degrees and Dollars (“Pezzi di carta e soldi”), che dice benissimo cose su cui, secondo me, chiunque ci tenga davvero al futuro dell’Italia (a partire da genitori e insegnanti), dovrebbe riflettere seriamente. Se conoscete l’inglese, leggetevi l’originale, ne vale la pena. In caso contrario, ecco una mia traduzione delle 10/12 frasi più importanti, quelle che a mio giudizio riassumono bene tutto l’articolo (le parti in corsivo sono aggiunte o commenti miei).

Dice Krugman: la convinzione che l’istruzione stia diventando sempre più importante si basa sul concetto, a prima vista assai plausibile, che oggi i computer aiutano chi lavora con la mente ma danneggiano chi lavora con le mani (per via dell’automazione nelle fabbriche, quindi meglio studiare tanto, per trovare lavoro “mentale”). Partendo da questo tutti sanno che, se vogliamo più buone notizie sul fronte occupazione, dobbiamo fare più investimenti nel settore dell’istruzione. Ma quello che tutti sanno è sbagliato.

L’idea che facendo arrivare più bambini possibile alla fine dell’Università sarà possibile ripristinare la classe media che c’era una volta (cioè ridurre le disuguaglianze sociali) è una pia illusione.

Qualsiasi operazione di routine - definizione che include molti lavori non manuali, da scrivania - è sotto tiro. Un bel po' di lavoro attualmente svolto da colletti bianchi ben istruiti e relativamente ben pagati potrebbe presto essere informatizzata. I lavori (relativamente) ben pagati svolti da lavoratori altamente istruiti sono, semmai, ancora più facili da mandare all’estero di quelli svolti da personale meno istruito e meno pagato.

La conseguenza è che, se vogliamo una società di prosperità ampiamente condivisa, l’educazione non è la risposta. Non possiamo arrivarci semplicemente dando ai futuri lavoratori diplomi e lauree che non saranno altro che tagliandi per richiedere posti di lavoro che non esistono o che non potranno fornire stipendi da classe media.

Marco: personalmente, la riforma Gelmini non mi piace (ma non mi piacevano nemmeno quelle prima…). Sono anche convinto che la Scuola Pubblica debba essere protetta e debba essere davvero di qualità e davvero aperta a tutti. Però la sensazione che, anche se la Scuola Pubblica non avesse alcun problema, dovremmo ragionare tutti, molto più seriamente, sulle tendenze storiche di fondo di cui parla Krugman ce l’ho comunque. A partire dai genitori che ancora mandano i figli per forza a scuola e all’Università “perché senza un pezzo di carta che fai?”. E a partire da tutti i neodiplomati che “devo iscrivermi, ma ancora non so a che Facoltà”: se a pochi mesi dall’inizio ancora non lo sai forse vuol dire che dovresti cercarti direttamente un’altra strada, se avessi non dico una vocazione ma un interesse vero, certe dubbi non ti sarebbero mai venuti. Fra l’altro, noto che è appena uscito Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare: non l’ho ancora letto, ma pare che spieghi perché “lo studio deve essere lasciato a chi lo vuole davvero, insegnanti (1) e soprattutto allievi”.

Con questo non voglio affatto dire che una buona educazione oggi sia inutile, anzi! Credo fermamente che una buona educazione, a partire da una conoscenza seria dell’italiano, delle materie cosiddette “classiche” (storia, filosofia…) e della matematica, sia più importante oggi che in passato, vista la quantità enorme d’informazioni che arriva da Internet. Per tutti, qualunque lavoro facciano. Altrimenti si rischia di credere a bufale ridicole come quella delle 600mila auto blu.

E credo fermamente che in una Scuola Pubblica seria, aperta a tutti, sia immensamente più facile arrivare a una buona educazione che da soli. Dico solo che bisogna rendersi conto che nessuna scuola può bastare per arrivare a quel livello, ma che bisogna arrivarci comunque. Da soli, se necessario, ma soprattutto indipendentemente dal bisogno di un lavoro. Prima si accetta davvero il fatto che andare a scuola o all’università solo per trovare un lavoro “di prestigio”, magari fisso oggi serve a poco o niente e meglio è. Voi che ne pensate?

(1) Il ministro Gelmini ha detto anche: “Non licenziamo nessuno perché nella Pubblica Amministrazione non si può e non si deve licenziare nessuno”. Forse (ripeto, il libro non l’ho ancora letto) l’autrice del libro si riferisce anche agli insegnanti che non si possono e non si devono licenziare anche se non hanno la minima competenza per il lavoro che dovrebbero fare?