Di chi è la colpa se un testo sparisce da Internet? E QUANDO è una colpa, anzichè un diritto?
Cerchiamo di capirlo parlando di astronaute e giornaliste.
Antefatto (febbraio 2018)
Una testata online pubblica un’intervista di una giornalista freelance a Samantha Cristoforetti. L’astronauta smentisce categoricamente, chiede che venga pubblicata una rettifica. La rivista rifiuta e rimuove del tutto l’intervista, spiegando la sua posizione qui. Più o meno in parallelo, Samantha Cristoforetti smentisce pubblicamente, con abbondanza di dettagli… su Google Plus. Il 21 febbraio 2018 Paolo Attivissimo critica duramente, con ancora più dettagli, sia la giornalista che la rivista.
A volte ritornano. Ce lo chiede l’Europa
Poi tutta la storia viene più o meno archiviata, fino al 4 aprile 2019m quando un utente twitter chiede:
“Qualcuno sa come recuperare da google plus o da altra fonte la famosa risposta di @AstroSamantha alla falsa intervista della giornalista di “donna in affari”, di cui parla anche @disinformatico in questo articolo?"
e Attivissimo commenta la domanda così (grassetto mio):
- Per tutti quelli che dicono che la Direttiva sul Copyright non è un problema perché tanto non c’è nessun motivo di aver bisogno di più di un breve estratto di una citazione, un piccolo esempio: Google Plus. Quello che ora non esiste più.
- Tutto quello che è stato postato su G+ non è più disponibile al pubblico. Compresi.. tutti i post di @AstroSamantha
- Risultato: se qualcuno vuole sapere cosa aveva scritto @Astrosamantha, con molto garbo, a proposito dell’intervista fantasma, non può. La notizia è ora monca.
- L’unica soluzione, per dare al lettore (e, un giorno, allo storico) il quadro completo dei fatti è citare integralmente il post di @astrosamantha. Con la Direttiva sul Copyright non lo potrò più fare. E l’informazione ne sarà danneggiata.
Un altro utente Twitter replica ad Attivissimo che “non ha capito nulla” perché (anche qui, grassetti miei):
- Se quei post non esistono più è perché l’autrice li ha scritti su una piattaforma che ha chiuso. Non c’è bisogno di consentire la violazione del diritto di autore altrui per salvare i testi. Basta non scriverli su siti che chiudono
- Esempio: io scrivo sul mio blog che controllo io. Non è che li pubblico su x e quando x scompare scompaiono anche i miei testi. E se li faccio scomparire io? Chi mi cita poi cita una fonte che scompare? Sì, ma è un mio diritto. Io con le mie opere faccio quello che voglio
- Esattamente come fa un giornale che se vuole cancella un articolo. Ma questo non c’entra una sega con la direttiva sul #Copyright perché anche ora ognuno è libero di fare quello che vuole con le sue opere. E no, non c’è nessun diritto a copiare un’opera altrui per “salvarla”.
- Non c’è mai stato questo diritto è quindi non può essere attaccato dalla direttiva.
I problemi veri, sullo sfondo
In tutta questa storia, a mio avviso, i problemi veri sono due, e in quanto ho appena riassunto ci sono errori, o quanto meno valutazioni incomplete, mancanze o disattenzioni, da parte un po' di tutti. Compresa, forse, Cristoforetti. Non è una critica, giusto una constatazione.
Valutazioni incomplete o mancanti:
“Io con le mie opere faccio quello che voglio, compreso farle sparire. Esattamente come fa un giornale che se vuole cancella un’articolo, e questo non c’entra niente con la direttiva sul copyright”
Come avrebbe detto qualcuno, “vero… ma anche no”. Finchè si tratta di, come dice la rivista stessa un testo inventato “abbastanza anonimo ed innocuo in quanto le domande e le risposte, ivi riportate, erano e sono oggettivamente senza particolare incisività e rilievo, anche e soprattutto dal punto di vista penale e giudiziario”…
chi alla fine ci ha rimesso (giustamente, a quanto capisco) sono solo giornalista e direttrice della rivista, che d’ora in poi, cancellazioni o no, dovranno stare sicuramente molto più attente a quanto pubblicano. Ma anche se Attivissimo “non avesse capito nulla” in questo caso, il problema generale che segnala esiste eccome, ed è molto serio. Parlo del problema segnalato da un altro utente Twitter nello stesso thread:
“Ottieni un rapporto sull’erbicida glifosato, pagato con soldi pubblici, ma ti si vieta di condividerlo. trasponiamo la vicenda in un’internet coi filtri censori: se non ne modifichi ogni volta e continuanente l’hash, non potrai caricarlo e diffonderlo”.
Ovvero: finchè un giornalista o una testata si rovinano la reputazione con roba (parole loro) “abbastanza anonima e innocua”, se poi cancellano tutto non è una catastrofe. Il problema vero è:
- che il principio che “ognuno è libero di fare quello che vuole con le sue opere, e non c’è nessun diritto a copiarle per salvarle” potrebbe valere (forse) per le foto del gattino, ma non deve valere (almeno) quando si tratta di questioni serie. Perché chiunque non si sia ancora accorto che, in Italia e altrove, il copyright viene usato come scusa per censurare senza controlli da un pezzo deve davvero aggiornarsi
- se è vero o no che, come dice Attivissimo, che la Direttiva sul Copyright peggiora ulteriormente una situazione già non ottimale
Il punto da chiarire senza ombra di dubbio è quello.. Ammesso che ancora sia da chiarire. Su Twitter, diverse persone hanno contestato questa interpretazione, ma che la direttiva sul coyright imponga, di fatto, la installazione di “macchine per censura automatica” lo dicono pure, tanto per citarne due che non sono proprio Napalm51, Julia Reda e Cory Doctorow.
Personalmente, mi ero già imbattuto in un caso simile a questo l’anno scorso, e penso che la direttiva sul copyright farà male proprio a chi l’ha voluta, e gli sta bene. Ma ora cambiamo argomento, perché qui ci sono due testi spariti da Internet (l’intervista, e la replica di Cristoforetti) e finora abbiamo parlato solo del primo.
Perché mettere cose proprie in case d’altri?
“non esiste nessun cloud. Ci sono solo i computer di qualcun altro” (cit.)
Sempre in quel thread su Twitter, un altro utente ha già accennato all’altro punto che voglio mettere in evidenza io: “La assurda pretesa che un servizio di terzi si pieghi alle nostre volontà solo perché ci abbiamo messo qualcosa di nostro… ma a casa altrui”.
Ovvero: a prima vista, quel post di Cristoforetti non è più online perché lo ha scritto su “carta” prestata da Google, che quando ha voluto l’ha mandata al macero. Fin qui, ha ragione chi ha risposto “Basta non scriverli su siti che chiudono”. Si sa benissimo da almeno sette anni che chi fa così, si da' la zappa sui piedi e chi vuole farlo è liberissimo. Il problema, quando c’è, è se la zappa la da' anche sui piedi degli altri. Perché se qui c’è un problema, è che sono spariti tutti i post di Cristoforetti su Google Plus, non solo quella replica. Secondo me le domande più interessanti sono:
- perché quei testi messi su Google Plus non sono più tutti disponibili online da nessun’altra parte? Tecnicamente, sarebbe stato possibilissimo “esportarli” tutti in blocco, più o meno automaticamente, su un sito indipendente. Cristoforetti non lo ha fatto perché lei non vuole averli online?
- e in quel caso, dovrebbe essere legale che altri li copino integralmente altrove, trattandosi, di fatto, di dichiarazioni pubbliche di un personaggio pubblico?
- anche perché lo stesso problema si riproporrà quando (NON “se”: quando) chiuderà Twitter, facendo sparire altri comunicati pubblici di questo o qualsiasi altro personaggio pubblico rilevante per milioni di persone. Meglio sapere subito come regolarsi, no?
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