Meme? Ancora insistete coi meme?

Il 20 giugno 2018 una commissione del Parlamento Europeo ha approvato una proposta di riforma del diritto d’autore davvero, diciamo, discutibile (soprattutto per due articoli, l'11 e il 13). Ma mai quanto certe difese che ho letto nei giorni successivi.

Prima di quella votazione, nessun giornale italiano sembrava interessato a parlarne, o quasi. In compenso, qualche giorno dopo è apparsa una difesa della “direttiva europea che difende i contenuti dai pirati digitali” basata su questi argomenti (grassetti miei):

  1. “I detrattori definiscono l’Articolo 11 una “link tax”, ma la tassa o, meglio, la riduzione dei profitti sarebbe a carico di Google e di Facebook, non degli utenti.”
  2. “[questa direttiva] per chi produce contenuti giornalistici rappresenta una protezione del proprio business simile a quella già in vigore per la musica, il cinema e la televisione, oltre che un sostegno a un sistema di informazione di qualità messo in crisi dalla circolazione gratuita e per questo sempre più dipendente dell’algoritmo dei social”.
  3. “L’articolo più osteggiato è il 13, quello che impone alle piattaforme digitali di istituire un sistema di filtri, come il Content Id già presente su YouTube, per controllare se un contenuto, una foto o un testo, che gli utenti decidono di postare sui social sia coperto o meno dal diritto d’autore. La conseguenza diretta è la probabile limitazione virale dei meme.
  4. [qui non stiamo parlando di cose complesse come] “conciliare libertà e sicurezza in tempi di terrorismo globale. In questo caso, proteggere la libera stampa val bene rinunciare a un meme”.

“Libera stampa”

Cominciamo dalll’ultima frase, che mi pare la più imbarazzante. Come libertà di stampa, l’Italia sta “al 37esimo posto, poco al di sotto della Namibia”: “è come se si realizzasse l'80% dell’ideale della libertà di espressione… gli altri Paesi europei mantengono valori significativamente più alti.”

Sicuramente è colpa dei meme.

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Dobby non ha protetto la libertà di stampa! Cattivo Dobby!

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Internet sta distruggendo i modelli economici con cui giornali e TV sono sopravvissute finora? Certo. Parliamone, perché è una cosa seria. Ma proprio per questo non va buttata in caciara così.

Libera concorrenza e innovazione CHI???

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Caro Fassina non me ne voglia, è solo che qui DEVO mettere più meme possibile

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Libera concorrenza e innovazione sono cose belle, a patto che la prima sia reale e la seconda accessibile a tutti.

Creare concorrenti di Facebook, Google, Snapchat eccetera è già difficilissimo oggi,quando il vero problema è “solo” convincere la gente a entrare in un social dove non c’è ancora nessuno che conoscono.

Il filtro “Content ID già presente su YouTube” funziona a cavolo, ma costa qualche decina di milioni di Euro. Rendere simili filtri (ovvero: i milioni per rifarseli e farli funzionare da subito) obbligatori per qualunque aspirante concorrente dei network di oggi significa:

  • che il mito della startup da garage possiamo buttarlo definitivamente nello sciacquone
  • che chi già oggi è impotente contro quei network (tipo… i giornali, vedi sotto) può scordarsi di stare meglio in futuro

Libertà di critica? Nah.

Anche per chi già fattura milioni, l’unico modo sostenibile di rispettare certe regole è automatizzare tutto, il più possibile. Se la probabilità che quel che stai per mettere online sia una “copia” di qualcos’altro supera una certa soglia (stabilita da chi? Come?) vieni bloccato, poi si vedrà.

Se quegli articoli fossero già in vigore, io rischierei di non poter condividere questa critica che ho tutto il diritto di fare, semplicemente perché, per farla, devo citare una discreta parte dell’articolo originale. Cosa che quei filtri probabilmente riterrebbero violazione di copyright, da bloccare fino a nuovo ordine che potrebbe non arrivare mai, se il giornale che sto criticando volesse così. Sostituite “giornale” con “qualsiasi politico di cui voglio smentire punto per punto un’intervista protetta da diritto d’autore”, e poi riditemelo, che quella riforma protegge la libera stampa.

NB: a dire che quei filtri, e l’unico modo possibile per realizzarli, sarebbero un “braccialetto eletronico per tutti”, una “censura preventiva” che “delega ulteriori poteri di vita e di morte su ciò che è dicibile o meno online a soggetti di cui si lamenta già oggi l’eccessivo potere di vita e di morte sul dicibile online” non sono mica solo io. Però secondo quel pezzo… tranquilli, “la conseguenza diretta è la probabile limitazione virale dei meme.

E non parlatemi della mitica “intelligenza artificiale” che dovrebbe evitare certi errori. Per riuscirci davvero dovrebbe realizzare un incubo.

Le piattaforme NON sono riformabili

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Mo&#39; ve le buco, &#39;ste piattaforme

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In un certo senso, quell’articolo sostiene che certe norme applicabili solo dalle piattaforme che già comandano sono buone perché costringerebbero quelle stesse piattaforme a… fare quel che gli pare come prima, ma condividendo un po' dei soldi che fanno sfruttando il lavoro degli altri.

Che è come dire che i fabbricanti di sigarette possono farsi quanta pubblicità vogliono, e pure vendere online ai minorenni, basta che aumentino la paga dei raccoglitori di tabacco.

Le uniche aziende che possono già applicare quella proposta di legge che rafforzerebbe il loro monopolio sono anche quelle basate su un’architettura centralizzata. Un’architettura, cioè, che non è riformabile o gestibile in nessun modo decente, va sostituita e basta. Questo dovrebbero spiegare i giornali, non che rinunciare ai meme è un nobile sacrificio.

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Ancora coi meme e l&#39;articolo 13? Ancora?

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“Facebook ci sta strangolando. Aiutateci ad aiutarlo”

Potrei fare tanti esempi su questo, ma per brevità mi limito al più recente, di soli due giorni fa. La testata americana Slate “lamenta” (in Italiano qui):

  • “un crollo del traffico verso il proprio sito da Facebook come fonte esterna pari all'87% da gennaio 2017. E invita altri editori a pubblicare i propri dati qualora fosse capitato anche a loro.
  • “pubblicazioni di primaria importanza hanno esternato a Slate la medesima difficoltà: il traffico da Facebook verso i loro siti è precipitato a meno della metà di quello che il social generava nella prima metà del 2017.”
  • “Un cambiamento destinato a influire dolorosamente su tutte quelle testate che dipendono dal social”

Riassumendo, cari giornalisti ed editori: ormai chi può distruggere i vostri incassi quando e come gli pare sono proprio quelle aziende da cui sperate di battere cassa, ma che potrebbero fare tranquillamente a meno di voi. Come hanno già dimostrato con la versione spagnola dell’articolo 11. E voi, invece di smarcarvi facendo, per esempio, campagne di “rieducazione” serie e continue su come e perché tutti dovrebbero leggersi le notizie da aggregatori RSS anzichè Facebook, gli fate certi favori? Pur riconoscendovi (vedi sopra) “sempre più dipendenti dell’algoritmo dei social”? Senza offesa, certe posizioni mi fanno venire in mente lo Stephen di Candyland:

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Non puoi distruggere noi editori! Lo stiamo facendo da soli!

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Anche se sbagliasse, chi attacca in buona fede Articolo 11 e Articolo 13 non lo fa certo per continuare a giocare coi meme, e nemmeno per copiare o plagiare impunemente. QUI I MEME NON C’ENTRANO NIENTE. Prima si smette di parlarne, meglio è per tutti.

Occhio alle conseguenze inattese…

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<u><em><strong>CAPTION:</strong> 
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Il Web è un posto caotico, è difficile controllare e prevedere tutte le possibili applicazioni di una qualsiasi regola. Che dovrebbe succedere, per esempio, se…

  • un giornale commissionasse a un suo giornalista un articolo SOLO PER ABBONATI
  • quel giornalista tentasse di copiare integralmente l’articolo ANCHE sul suo blog personale, ospitato da un grande provider commerciale, obbligabile per legge a bloccare e segnalare violazioni di copyright tramite filtri?

io, se fossi un filtro da articolo 13, quella copia sul blog la oscurerei a priori. Forse a tutto il resto del blog, tanto per sicurezza. Ma tranquilli, vi basta cliccare la didascalia qui sopra per scoprire che è un caso puramente ipotetico.

Il copyright come concetto non è sbagliato. Il copyright com’è oggi permette, a chi non ha mai scritto o disegnato nulla, di decidere chi può produrre nuove storie di Batman, creato OTTANTA anni fa anche da chi ha visto pienamente riconosciuto il suo merito solo QUARANTA anni dopo che è morto. E quindi non posso concludere che così:

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