Open Data, sette punti da considerare
Sono stato fra i primi, credo, a occuparmi approfonditamente di Open Data in Italia, con il rapporto “Open Data, Open Society” (2010) e il suo seguito “Open Data: Emerging trends, issues and best practices” (2011). Negli ultimi anni mi sono occupato principalmente di altre cose, come le conseguenze del fai-da-te digitale. Però non ho mai smesso di seguire il mondo Open Data, in Italia e all’estero, e quest’anno spero di lavorarci ancora. Per questo ieri ho partecipato all’apertura dell’evento “Open Data Day” in Campidoglio. Purtroppo, per motivi personali, sono dovuto andarmene presto, quindi non so se si è parlato o no di alcuni punti che mi stanno a cuore. Eccoli qui, e ovviamente sono a disposizione per continuare il discorso e lavorarci insieme.
- Se sei una PA, e il motivo per cui puoi aprire i tuoi dati è davvero che non ne hai abbastanza, o non hai abbastanza risorse per farlo (nemmeno per mettere qualche file su un sito???), probabilmente vuol dire che stai lavorando alla cieca, o comunque davvero male, e hai bisogno di una ristrutturazione urgente e profonda. Indipendentemente dall’aprire i dati o no.
- anche gli Open Data son un mezzo, un indicatore che le cose vanno bene. Non un fine. Se sei una sorgente affidabile di dati, è (un) segno che lavori bene. Fermo restando che…
- “Gli Open Data devono essere di qualità altrimenti non servono a niente”? Sì, tutto vero, ma quello, nell’Italia di oggi, deve essere un punto di arrivo, non certo di partenza. Altrimenti, rimane solo una scusa per non far niente
- prima si supera l’idea che gli Open Data sono i “dati aperti delle Pubbliche Amministrazioni” meglio è. Perché questa è l’epoca delle privatizzazioni, e molti dati cruciali non nascono nè arrivano mai nelle PA. Quelli che devono essere Open Data sono i dati di pubblico interesse. Pure se “appartengono” a privati. Esempi:
- prestazioni di strutture sanitarie private
- orari di trasporti pubblici privatizzati
- gestione dell’acqua
- bilanci di partiti, sindacati, NGO che prendono finanziamenti pubblici…
- conflitti di interessi di candidati a cariche pubbliche
- non ha alcuna importanza se “la gente non è in grado di capire i dati”. Il motivo per cui i dati vanno aperti è dare la possibilità di esaminarli a tutti gli esperti che sono effettivamente in grado di farlo. Anche e soprattutto se sono indipendenti da chi ha prodotto quei dati
- contare quante volte è scaricato un dataset serve a ben poco. Se viene usato una volta sola ma bene, cioè per produrre anche una sola infografica o analisi comprensibile dal grande pubblico, o (in casi estremi) una inchiesta o interpellazione parlamentare, basta e avanza
- e la scuola? Vogliamo iniziare o no a far usare e produrre Open Data nel corso delle normali attività didattiche?
Who writes this, why, and how to help
I am Marco Fioretti, tech writer and aspiring polymath doing human-digital research and popularization.
I do it because YOUR civil rights and the quality of YOUR life depend every year more on how software is used AROUND you.
To this end, I have already shared more than a million words on this blog, without any paywall or user tracking, and am sharing the next million through a newsletter, also without any paywall.
The more direct support I get, the more I can continue to inform for free parents, teachers, decision makers, and everybody else who should know more stuff like this. You can support me with paid subscriptions to my newsletter, donations via PayPal (mfioretti@nexaima.net) or LiberaPay, or in any of the other ways listed here.THANKS for your support!