Ai dati aperti servono leggi chiare e semplici... e tanta educazione
Queste sono citazioni e miei pensieri sparsi dal convegno del 19 aprile 2011 “Politica della trasparenza e dati aperti”. Manca solo la parte relativa all’intervento del Garante della Privacy: poiché era interessante ma… fuori tema, ne ho parlato in un’altra pagina.
Commentando la famosa frase del presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati, rischieremmo un sommovimento sociale”, Luca Nicotra di Agora Digitale ha detto, per giustificare l’apertura dei dati pubblici che “se le cose si sanno subito si agisce per sistemarle”. Concordo.
Johnathan Gray della Open Knowledge Foundation ha spiegato la differenza fra pura e semplice trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni (che è comunque fondamentale, ci mancherebbe altro, magari l’avessimo già) e veri e propri “dati pubblici aperti”: nel primo caso i dati si possono solo guardare per informarsi e decidere meglio. Nel secondo anche riusare in qualunque modo ci venga in mente, anche a scopo di lucro. Ma questo, ha aggiunto Gray, funziona davvero solo se:
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non ci sono incertezze a livello legale, cioè quando i dati vengono pubblicati con licenze che permettono esplicitamente qualsiasi tipo di riuso, a tutti
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i dati vengono pubblicati online in formati grezzi, e in maniera facile da trovare, anche automaticamente
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(essenziale) la PA che pubblica dei dati poi sta a sentire i cittadini e le imprese che li usano, per migliorare quei dati e i suoi servizi
Grazie a Simon Rogers, giornalista del Guardian, ho scoperto che Florence Nightingale (1820-1910) dimostrava quanto i dati grezzi siano utili per capire come stanno veramente le cose già più di 150 anni fa, provando con diagrammi che la maggior parte dei decessi fra i soldati nella guerra di Crimea erano evitabili perchè non dovuti a combattimenti ma a condizioni igieniche disperate, infezioni, colera.
Enrico Giovannini, presidente dell’ISTAT, ha messo il dito su una piaga di cui anche io avevo parlato l’anno scorso: l’Italia è l’unico paese al mondo in cui diciamo “aride”, fredde cifre. Da noi gli esperti di governo sono esperti di legislazione, perchè è quello (cioè, spiego io: conoscere e/o creare più leggi o cavilli degli altri, qualsiasi riferimento a fatti o persone…) anzichè analizzare fatti e numeri, che cambia le cose qui in Italia. Di conseguenza, diceva Giovannini, non bisogna dare per scontato che l’offerta di dati aperti crei una sufficiente domanda di aprirne e usarne sempre di più. Questo avverrà solo in parte, se non cultura e dotazione tecnologica adeguate: ma d’altra parte, se non si insegnano adeguatamente matematica e statistica nelle scuole perché stupirsi?
Altro problema segnalato da Giovannini è l’insufficiente (o assente???) controllo di qualità, per mancanza di leggi adatte, sulle statistiche prodotte da privati. Questo rischia di portarci a una società della confusione anziché dell’informazione.
Emma Bonino ha aggiunto che “più vuoi la trasparenza, più seriamente devi porti il problema di quali paletti e limiti vanno imposti e mantenuti”, perché “i dati possono essere strumentalizzati, vedi il caso dell’immigrazione: puoi arrivare a conclusioni opposte partendo dagli stessi numeri, dipende da come li aggreghi”. Per esempio oggi ci sono parlamentari che firmano emendamenti e proposte di legge inutili, sapendo benissimo che non avranno alcun futuro, solo per salire nelle classifiche di attività di Openpolis. L’unica soluzione è fare in modo che più persone possibile conoscano i dati originali, il loro significato e il loro contesto.
Antonio Martone, Presidente della Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche, ha ricordato l’eterno problema italiano: le norme (in questo caso l’articolo 11 del Dlgs 150) ci sono, vanno solo applicate. Rita Bernardini e Sergio Rizzo hanno fornito prove sia di questo che del fatto che le leggi complicate… non aiutano.
La Bernardini ha raccontato che il regolamento della Camera (art 68 comma 4) consente l’accesso al Bilancio interno della Camera da sessant’anni, ma quando ne ha chiesto una copia ai Questori della Camera stessa ha ottenuto un “no”, finchè il Presidente della medesima ha dato l’autorizzazione. Ed è solo a quel punto che hanno scoperto una maggioranza di contratti stipulati senza gara.
Rizzo ha rincarato la dose. Il problema è che, per come sono fatti, i bilanci pubblici non danno le informazioni che servono, anche quando li ottieni. Il bilancio della Presidenza del Consiglio, per esempio, è un PDF di 150 pagine che vanno scaricate una per una, da 2 MB l’una, oppure come file unico ma solo se sei abbonato e paghi 14 euro. E soprattutto mancano alcuni dati, tipo dettagli sui voli di Stato o il numero dei dipendenti, che si trova su altre fonti ma non aggiornato. I bilanci di Regioni, Province, e Comuni poi, sono anche peggio e tutti diversi fra loro, quindi comparabili solo con grande fatica.
Che manca la cultura dei cittadini sull’importanza delle informazioni e che il cambiamento culturale deve venire anche dal basso l’ha sottolineato anche il giornalista Marco Lillo. Lillo ha anche detto che “Noi giornalisti “siamo” i mediatori del flusso di dati. Open Data Society è l’utopia di scavalcare questa mediazione, ma i mediatori servono”. Il mio commento? Che i mediatori bravi servano è indubbio, che lo siano solo i giornalisti attuali, o comunque chi fa quel particolare percorso di carriera, un po' meno.
Chiudo anticipando un tema su cui ho intenzione di lavorare nel prossimo futuro. Al convegno è stato presentato il progetto OpenBilancio, che permetterà a tutti i cittadini di rispondere a domande come “Quanto spende il mio comune per la manutenzione delle strade, la polizia municipale, gli asili, l’assistenza agli anziani? È tanto o poco? Qual è l’andamento della spesa negli anni per questi servizi del mio comune?". Ma, dico io, perché solo i cittadini adulti? Quelle domande sarebbero ottimi esercizi di storia, matematica, geografia e altro per tutti gli studenti. Vogliamo cominciare a farglieli fare?
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