Editoria digitale scolastica: se servono formati e licenze aperte, perché non dirlo?

Il comunicato del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (*) del 7 febbraio 2012 riassume le caratteristiche di base dei prodotti per l’editoria digitale scolastica che verranno selezionati da 20 istituti, nell’ambito del Piano Scuola Digitale:

  • “Contenuti liquidi, che possano essere travasati da un supporto tecnologico ad un altro, scomposti e adattati a diverse esigenze, pur conservando le proprie caratteristiche di base”

  • “prodotti multimediali le cui componenti siano estrapolabili dal contesto e utilizzabili dai docenti nello sviluppo di materiali didattici personalizzati, richiedono strumenti di editing che consentano la rieditabilità dei materiali… nell’ottica di ricomposizione dei saperi”

In italiano corrente, questo significa che si dovranno scegliere testi e altri materiali didattici digitali che siano:

  • utilizzabili su tanti diversi dispositivi (da computer tradizionali a lettori di e-book, tablet o smartphone)

  • spezzettabili, modificabili, ricomponibili e miscelabili (anche legalmente) con altri materiali, per permettere ai docenti di creare versioni personalizzate per i loro alunni, magari con contenuti extra

Sono pienamente d’accordo, ma parliamoci chiaro: tecnicamente e legalmente, l’unico modo per garantire queste caratteristiche al minor costo possibile è scegliere soltanto prodotti didattici che siano:

  • pubblicati fin dal principio in formati di file aperti, sicuramente riutilizzabili con qualsiasi software e dispositivo perchè liberi da brevetti o licenze restrittive

  • rilasciati senza protezioni anticopia (DRM) e con licenze d’uso tipo Creative Commons, che impiegano il diritto d’autore per favorire riuso e distribuzione gratuiti delle opere d’ingegno

ma allora perchè non riconoscerlo, dicendolo chiaramente nelle comunicazioni ufficiali? Spero almeno che le 20 scuole incaricate della selezione siano comunque a conoscenza di queste possibilità e dei rischi di formati e licenze chiusi, in modo da evitare ulteriori sprechi e/o altri casi discutibili come il famigerato Book in Progress

(*) credeteci o no, ho realizzato solo in questo momento che, fin dal nome, quel Ministero non è più della “Pubblica” Istruzione…