Lavoro 4.0 o... CECITÀ 0.0?
Giorni fa si discuteva online delle magnifiche sorti e progressive del “Lavoro 4.0”. È durata poco, perché la realtà ha subito chiesto la parola.
Il punto di partenza era costituito da queste due perle:
Perla n. 1: “Accelerare i percorsi di riqualificazione attraverso politiche attive, indispensabili per mettere i lavoratori in grado di reggere all’impatto della rivoluzione tecnologica più profonda, veloce e pervasiva che la storia ricordi.” Fonte: Corriere Comunicazioni, “Lavoro 4.0, sfida cruciale per l’Italia che cresce”
Perla numero 2: “Nuovo studio (Inglese) rileva che quasi metà dei posti di lavoro attuali sono a rischio automazione - Questo potrebbe lasciare i lavoratori liberi di intraprendere carriere più interessanti”. Fonte: Economist, “A study finds nearly half of jobs are vulnerable to automation”.
Poi è arrivata la realtà:
1 “Sessantenne disabile licenziato perché sostituito da una macchina”
2 “per quanto si sposti o si investa nella formazione difficilmente un impiegato cinquantenne con un diploma di scuola media superiore potrà svolgere le stesse mansioni di un esperto informatico venticinquenne e laureato.” Fonte: Italia Oggi, “Mancano 2,5 milioni di dipendenti pubblici”
Coerenza scarsa e obiettivi… scambiati
Nell’articolo di Corriere Comunicazioni si legge nientemeno che:
“bisogna [affrontare] l’esclusione dei lavoratori e delle lavoratrici più deboli. In che modo? Accelerando i percorsi di riqualificazione attraverso politiche attive, indispensabili per mettere i lavoratori in grado di reggere all’impatto della rivoluzione tecnologica più profonda, veloce e pervasiva che la storia ricordi.”
Ma se questa rivoluzione è riconosciuta come “più profonda, veloce e pervasiva” come si può mai (far) credere che i lavoratori più deboli, gli impiegati cinquantenni di cui sopra eccetera… potranno mai essere riqualificabili in quantità adeguate e soprattutto in tempo utile? Perché qui il problema non è certo il 2100, quando un qualche altro equilibrio sarà stato raggiunto. Il problema è i prossimi venti anni, a partire da ieri.
L’articolo di Italia Oggi sostiene che la minore occupazione dell’Italia non dipende dalle caratteristiche del mercato del lavoro privato ma dal sottodimensionamento della produzione di servizi pubblici. Perché per arrivare alla stessa percentuale di dipendenti pubblici di Francia o Inghilterra, dovremmo averne due milioni e mezzo in più, non in meno. Ma messa così, mi pare un passo indietro gigantesco, altro che progresso: perché è un po' troppo simile a dire ufficialmente che lo scopo delle Pubbliche Amministrazioni non è servire i cittadini, ma distribuire stipendi.
Ma se l’obiettivo, anzichè essere “produzione di servizi pubblici”, diventa “produzione di servizi pubblici utili ed efficaci”, c’è poco da fare: primo, troppi posti di lavoro nelle PA di oggi sono oggettivamente inutili, quando non sono proprio dannosi (*).
Secondo, chi fino a oggi ha “stagionato” in uno di quei posti difficilmente potrebbe passare a uno dei nuovi due milioni e mezzo (anche se fosse possibile crearli tutti). A meno di demansionamenti di portata cinese, cioè di passaggi di massa da “dirigente scaldasedia” a operatore ecologico e simili. Quanto al famoso…
“Lavorare meno lavorare tutti”?
“Lavorare meno lavorare tutti” mi pare sempre più una posizione fuori dal tempo, non compatibile con un epoca ad alta tecnologia, in cui quasi tutti i tipi di lavoro in cui sarebbe applicabile senza far danni sono:
- o lavori che, vedi sopra, non dovrebbero proprio esistere perchè fanno più danno che altro (i “bullshit jobs”, cioè “lavori di m…a” di cui parla Graeber
- o roba che può essere automatizzata, quindi dovrebbe esserlo per poter concentrare le risorse disponibili su altre cose più importanti. Perché quando è fatto come si deve, il darwinismo digitale è nell’interesse dei più deboli, ma di certo non aumenta i posti di lavoro.
Più progresso VERO = meno posti di lavoro
La tecnologia digitale contiene troppe opportunità di reale progresso sociale e culturale, nonchè di tutela dell’ambiente, per rinunciarci (anche se fosse ancora possibile farlo). Su questo non si discute, anzi: in tanti casi bisognerebbe fare di più e più in fretta di quanto si è visto finora. Qualche idea in proposito la trovate in questo ebook. Però, senza offesa per nessuno, più andiamo avanti e più la storia che decine di milioni di lavoratori di oggi riusciranno davvero:
- a riqualificarsi per un qualsiasi “lavoro 4.0”
- a trovarne, uno, prima di finire in mezzo alla strada
mi pare una favola e basta. E pure pericolosa. La prossima volta che la sentite raccontare, fatevi anche dire come pensano di realizzarla in concreto, e fatemelo sapere, grazie. Idem per qualsiasi altro commento, ovviamente.
(*) tipo questi, tanto per fare uno fra centomila esempi possibili
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