62mila Euro per scaricare Wikihouse? Dateli a me piuttosto

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Il sito Web di Repubblica non è certo nuovo a svarioni notevoli, traduzioni fantasiose e altri esempi di giornalismo non proprio eccelso. Oggi ha replicato con due errori in 26 parole, che fanno confusione su alcuni temi potenzialmente cruciali per l’Italia dei prossimi anni.

Dice dunque Repubblica che Wikhouse sarebbe:

una casa moderna e prefabbricata (tutte le componenti nascono sfruttando la stampa 3d) che chiunque può “scaricare” da Internet (al costo di circa 62 mila euro)

In una Wikihouse, di stampato 3D ci sono forse alcuni giunti e accessori. Il 90 per cento della casa, come potete controllare voi stessi in questo disegno è fatto con tutt’altra tecnologia, ahimè meno glamour e 2.0 della stampa 3D: tagliando legno con una sega controllata da un computer. È importante saperlo perché la stampa 3D è insostituibile, ma non è il Santo Graal: è solo talmente di moda che sta oscurando quello e tanti altri strumenti, almeno altrettanto importanti per uscire dalla crisi (vedi sotto).

L’altro svarione è molto più grave. Repubblica ha scritto che per scaricarsi il progetto si devono pagare circa 62mila Euro, ma questo è falso. Il progetto di Wikihouse è scaricabile gratis, perché Wikihouse è un progetto Open Source, aperto e collaborativo. 62mila Euro è il costo di materiali e manodopera. I vari articoli inglesi da cui Repubblica ha evidentemente tradotto parola per parola (a cavolo) senza citare la fonte lo dicono esplicitamente:

Nuove case o nuove tecnologie APPROPRIATE?

Nè Repubblica nè le sue fonti dicono una cosa cruciale: l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, nella patria già stracementificata dell’abusivismo edilizio, è incoraggiamento a costruire nuove case in aggiunta, anzichè in sostituzione di quelle esistenti. Con questa premessa, rimane comunque essenziale diffondere la conoscenza corretta di tutte le tecnologie, comunità e modi di lavorare come Wikihouse. Anche quelle meno “fighette” di altre, che non sono stampa 3D o servono solo in settori da “poveracci del novecento”, come agricoltura o artigianato. Ci sono già diverse proposte in Italia per sfruttare meglio queste altre possibilità. Quelle su cui io e altri stiamo lavorando insieme già da un po', se vi va di saperne di più, sono qui: