Open Data, Open Society, una spiegazione in pillole
Il 16 settembre 2011, nella trasmissione We Press su La3, sono stato intervistato da Francesca Barra a proposito della mia ricerca Open Data, Open Society
. Questa è una sintesi, con qualche aggiornamento, di quanto ho detto in quell’intervista.
Cosa s’intende esattamente con pubblicazione dei dati?
I dati di cui parliamo (importante: dati, non solo documenti) sono tutti quelli che:
- sono già prodotti e usati dalle Pubbliche Amministrazioni nell’esercizio delle loro funzioni,
- non creano nessun problema di privacy, o perché non hanno nulla di privato o perché vengono preventivamente “anonimizzati”. Parliamo di cose come cartografia digitale, orari delle corriere, statistiche sanitarie e demografiche generali, attività economiche, eventuali fonti o rischi d’inquinamento, bilanci, dettagli degli appalti pubblici…
- oppure sono prodotti, e spesso già distribuiti ma nella forma sbagliata, da aziende locali private, o perché è nel loro interesse (es: orari di apertura dei ristoranti, o perché la legge già gli impone di farlo
Pubblicare questi dati in maniera aperta significa:
- pubblicarli su Internet con una licenza che ne consenta esplicitamente il riuso a tutti, gratuitamente e per qualsiasi fine, anche commerciale
- grezzi, per poterli combinare e analizzare nel modo più efficace (es: per un bilancio, un foglio elettronico è meglio del PDF perché permette di estrarre e verificare formule o singoli numeri)
- in formati aperti, cioè senza nessun segreto o restrizione d’uso, scaricabili ed elaborabili automaticamente con qualsiasi software
Open data ai più può sembrare sinonimo di Wikileaks. È così? È per questo che alcuni temono, o almeno non si fidano, di queste proposta?
Potrebbe sembrare così a un’occhiata molto distratta, perché è vero che in entrambi i contesti si cerca, o almeno si parla, di trasparenza in politica.
In pratica però, non solo ci sono profonde differenze fra i due concetti, ma secondo me Wikileaks non fa altro che provare i vantaggi e la necessità di aprire i dati pubblici.
Questo perché Wikileaks, almeno finora, è stata:
- una reazione, cioè un’esposizione di problemi che si erano già verificati
- senza alcuna partecipazione e consapevolezza delle organizzazioni coinvolte in quei problemi
Aprire i dati, invece, significa prevenire errori, abusi di potere e sprechi. Aprire i dati permette ai cittadini di verificare regolarmente ciò che stanno facendo le istituzioni e collaborare con loro. A differenza di Wikileaks, aprire i dati significa che le Pubbliche Amministrazioni sanno esattamente in ogni momento quanto del loro operato è a conoscenza di tutti.
In questo contesto certi problemi di Wikileaks, come il mettere in pericolo gli informatori, sono praticamente inesistenti. Infine, chi chiede i dati aperti lo fa soprattutto perché vuole riusarli e farli riusare, non solo conoscerli e farli conoscere come in Wikileaks.
Questo è il lato della questione che mi interessa di più: aprire i dati nel modo indicato può anche essere una opportunità di crescita economica.
Perchè l’apertura è tanto temuta? Perché è trasparenza vera, non di facciata. E perché fa venire alla luce tanti problemi preesistenti, che però andrebbero risolti comunque.
Lei sostiene che l’apertura dei dati pubblici rappresenta un valore economico non indifferente. In che modo la trasparenza può aiutare le casse pubbliche?
In vari modi, tutti importanti per i nostri Enti Locali che dovranno lavorare con budget molto ridotti nei prossimi anni.
Primo, perché a volte si spende di meno a lasciare aperti certi dati che a (ri)crearlii tutti da soli per poi farli sorvegliare e diffondere col contagocce a dipendenti che potrebbero fare cose più utili. Un esempio è la manutenzione delle strade, come nel caso di Netlamps a Milano.
In secondo luogo, avere certe informazioni può stimolare direttamente la creazione o la protezione di posti di lavoro sul territorio, anche quelli a bassa tecnologia e non delocalizzabili. Come?
Beh, c’è chi vende coperte e souvenir personalizzati stampandoci sopra mappe di zone turistiche. O chi vende o compra case al prezzo giusto, studiando prima la camminabilità dei relativi quartieri.
Guide e agenzie turistiche potrebbero creare pacchetti e gite in tempo reale combinando previsioni meteo, stato del traffico e orari di apertura dei musei. Gli autotrasportatori potrebbero effettuare consegne più rapide- Chi desidera aprire un negozio di qualche tipo potrebbe capire subito in quale area è più conveniente farlo.
Questi sono solo alcuni esempi di come l’apertura di certi dati potrebbero creare posti di lavoro di tutti i tipi (inclusi quelli molto difficili o impossibili da mandare in Cina…) sul territorio. O almeno proteggere quelli ancora esistenti, che sarebbe già un buon risultato.
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