Sierra Leone, quanto servono i computer senza Internet?
(questa è una mia sintesi di un racconto fattomi da Lucia Mazzoni, perché lo pubblicassi qui. I paragrafi in grassetto col mio nome sono commenti miei, aggiunti in seguito. La seconda parte è qui)
A febbraio 2012 sono stata 15 giorni in Sierra Leone, per conoscere le persone aiutate da un progetto lanciato ormai 10 anni fa. Dopo la guerra civile la situazione più dura era quella di chi aveva subito amputazioni nel corso delle violenze: il progetto aiuta un gruppo di donne amputate (mani, braccia, piedi, gambe…) collocate a fine conflitto, nel 2001, in un campo profughi ad Aberdeen, una località vicina alla capitale Freetown (ne ho parlato anche qui).
Sono partita portando un computer nuovo per il nostro amico e referente locale del progetto: padre Daniel, un sacerdote cattolico sierralionese. Ho molto pensato a quale sistema operativo installare sul portatile, ma alla fine non ho osato scegliere Linux. Padre Daniel non è molto competente, quello che sa lo ha imparato su Windows.
La diffusione di Windows data dalla preinstallazione sui PC lo rende uno “standard” de facto, ancora più vincolante in questo paese dove le possibilità di accedere a informazioni diverse è ridotta ai minimi termini. È un problema di conoscenza, un divario che si accompagna agli altri presenti in quella terra e fra quelle popolazioni, termine che uso volutamente al plurale per le tante etnie e lingue presenti in un territorio relativamente piccolo.
(Marco: mi ha colpito la contraddizione fra questa situazione e gli slogan dipinti sui muri nelle scuole, come questo qui a lato da una foto di Lucia, che dice “il mondo cede il passo a chi sa dove sta andando”. Ma se una scuola non insegna ad andare nella direzione giusta…)
I cattolici sono una minoranza in Sierra Leone (circa il 30%) e i sacerdoti sono abbastanza a stretto contatto fra loro, per questo mentre ero lì si è saputo che presso padre Daniel c’era qualcuno in grado di dare una mano a sistemare il PC.
Anche fra gli altri missionari italiani incontrati la situazione non è molto diversa da quella di padre Daniel. Sono rimasta frustrata dalla diffusione fra loro di laptop Windows, un costo così inutile da sostenere in situazioni di povertà così grande. A questo contribuisce sia la loro formazione (presumo nulla in questo campo) che l’età media, piuttosto elevata fra quelli che ho incontrato (60/65 anni).
(Marco: il costo di Windows è una piccola parte del costo totale, e purtroppo a volte chi prova a offrire laptop senza Windows ci rinuncia perché oggi può essere un costo extra senza riscontro dai consumatori. Il costo di Windows è comunque inaccettabile per tante altre ragioni, a partire dalla mancanza di software nelle lingue locali)
In generale, comunque, la barriera più grande resta quella di accesso a Internet. La rete cellulare è ovunque in Africa, per quanto ne so, e oggi lo è anche in Sierra Leone che è al 181mo posto su 187 nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. Io ho usato connessioni GPRS insostenibilmente lente ma funzionanti con le chiavette. La connessione satellitare funziona bene, ma è disponibile solo in luoghi privilegiati perché molto costosa rispetto al livello medio di vita della popolazione.
Senza Internet oggi il PC è poco più che una macchina da scrivere o da far di conto complicata, che rischia pure di funzionare male. E poi la carenza di Internet rende velleitario lo studio dell’informatica oggi… che informatica studi al tempo del cloud senza Internet? Su che mercato rivendi la tua preparazione?
(Marco: ovviamente la domanda vale ancora, anzi è più importante, anche al di fuori del discorso occupazionale. Senza Internet è più difficile comunicare ed essere cittadini attivi, anche se si ha un buon lavoro)
Il racconto di Lucia continua qui.
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