Open Data non è solo trasparenza

Nonostante la sua partenza diversa da come avrei voluto e gli oggettivi limiti che ho scoperto provandola, ho letto su Repubblica dichiarazioni incoraggianti sul futuro di Scuola in Chiaro: “il ministro Profumo sta aumentando la quantità di informazioni disponibili online sulle scuole di tutti gli ordini 1. L’obiettivo è l’open data”. Di quanto c’è ancora da fare su Scuola in Chiaro parlo in un’altra pagina. In questa vorrei soltanto, partendo da questo caso, chiarificare un concetto generale.

L’autore di quell’articolo di Repubblica dà (come fanno tanti altri, per questo ne scrivo qui) una definizione sbagliata di Open Data, e anche se gliela avesse fornita il Ministro stesso avrebbe dovuto segnalarlo:

“open data: il principio… secondo cui le pubbliche amministrazioni devono essere totalmente trasparenti nei confronti del cittadino”.

No, non è così. Trasparenza totale e Open Data sono due cose ben diverse (anche se la seconda include la prima). La caratteristica fondamentale degli Open Data è la possibilità di riuso. Se i dati di Scuola in Chiaro fossero solo trasparenti non ci si potrebbe fare nessuna delle cose che propongo nel mio primo articolo su quel servizio.

Fra trasparenza totale e Open Data c’è la stessa differenza che c’è fra mettere un testo scritto o qualsiasi altro oggetto su un tavolo con sopra il cartello “guardare ma non toccare” e mettere quello stesso oggetto sul tavolo con sopra scritto “copiare pure” (se è un testo) oppure “prendete pure in prestito liberamente” se è qualche altra cosa. E all’Italia, anche se spesso è inevitabile dover andare per gradi, servono tanti Open Data, non solo la trasparenza (che è comunque indispensabile!). Se volete sapere perché, trovate qualche esempio qui.