Perché i dati geografici non possono essere liberati?

Sul sito della rivista GEOmedia è appena apparso un articolo che ha quasi lo stesso titolo di questo: Perché i dati geografici non possono essere “liberi”.

La differenza ma senza punto interrogativo, cioè afferma come un dato di fatto quella che qui è invece una domanda, cioè una richiesta di giustificare perché i dati geografici non vengono liberati. L’argomento è importantissimo, fa bene GEOMedia a occuparsene. Vediamo perchè.

I dati geografici sono tutti quegli elementi grezzi, oggi normalmente espressi in forma digitale dentro file di computer, che compongono una mappa: foto satellitari, posizione e forma di fiumi, strade, coste o foreste, altezza dei monti, nomi di luoghi e in generale qualsiasi altra cosa a cui si possano associare coordinate geografiche e abbia un senso farlo. I dati geografici digitali ufficiali di un paese vengono creati, gestiti e distribuiti/venduti da appositi Enti Pubblici.

Oggi ci sono molti esperti che sostengono che i dati geografici pubblici prodotti da quegli Enti Pubblici (cioè al servizio di tutti i cittadini) dovrebbero essere “liberi”, cioè (sintetizzando al massimo) liberamente riutilizzabili da chiunque, gratis, anche a scopo commerciale, perché sono appunto dati pubblici, cioè di proprietà di tutti i cittadini. Per saperne di più su questa posizione potete consultare le pagine in Italiano Geodati e Dati Geografici Pubblici nella Pubblica Amministrazione.

Altri esperti, fra cui l’autore dell’articolo su GEOmedia, sostengono il contrario. Personalmente, alcuni punti di quel particolare articolo non mi convincono molto. Per cominciare, mi pare che si confonda, senza sufficienti giustificazioni, “libero”, nel senso appena riassunto, sia con “gratuito, non c’è bisogno che nessuno paghi per creare quel dato”, sia con “di qualità inevitabilmente scarsa” quando si scrive:

Chi si fiderebbe mai di una qualsiasi elaborazione realizzata su un dato gratuito, non certificato? Pensiamo a quante e quali manipolazioni potrebbero avvenire!... Voi affidereste gli spostamenti delle vostre merci a sistemi così poco affidabili?

nel caso dei servizi pubblici (perché di questo stiamo parlando) “gratuito” non significa necessariamente, come implica la prima frase citata, nè “non certificato” nè “scarsa qualità”. Se e quando gli ospedali o le scuole pubbliche d’Italia funzionano male o costano troppo non è certo perché malati o alunni non pagano, di persona e fino all’ultimo Euro, i servizi ricevuti da quegli enti pubblici. E se tanti ospedali e scuole pubbliche che ancora funzionano benissimo non è certo perché chi ci entra paga tutto quello che usa.

Tornando ai dati geografici, quelli provenienti direttamente, magari con firma digitale, connessioni sicure eccetera, dal sito Internet dell’ente pubblico preposto a quel servizio sono certificati per definizione, o meglio devono esserlo a prescindere dal costo, sennò sono inutili. Quindi, se qualsiasi applicazione software che usi direttamente quei dati fosse inaffidabile lo sarebbe o perchè contiene un baco o perché i dati erano sbagliati in partenza. Ma entrambe le cose non c’entrano nulla con la “libertà” dei dati.

In altre parole, è ovvio che almeno per le applicazioni critiche chi non usa (quando esistono…) solo mappe di provenienza accertata e affidabile è un irresponsabile; è ovvio che c’è bisogno di dati certificati; è ovvio che essere certificatori della qualità dei dati pubblici (mappe o altro) è uno dei doveri più importanti che rimangono in quest’epoca per le Pubbliche Amministrazioni (guarda caso, l’ho ripetuto l’ultima volta proprio ieri. Ma non è vero che se una cosa è utilizzabile gratuitamente debba per forza essere inaffidabile.

L’obiezione immediata a quello che ho appena scritto è che per certificare una mappa, cioè prendersi la responsabilità che sia più corretta, completa e aggiornata possibile, bisogna far lavorare continuamente parecchi specialisti con apparecchiature sofisticate. Insomma, ci vogliono per forza un sacco di soldi, chi paga? L’autore scrive infatti:

coloro che hanno investito nella acquisizione dei dati cartografici devono giustificarne i costi. Una amministrazione che mettesse in completa libertà il dato geografico potrebbe andare contro agli attuali principi economici della "sostenibilità" dei progetti tanto raccomandata a livello di Unione Europea.

In realtà l’Unione Europea sostiene anche che i dati pubblici (mappe incluse) dovrebbero essere più riutilizzabili possibile, al minor costo possibile (vedi i vari riferimenti qui). Inoltre, nessuno nega che i costi ci sono e vanno ovviamente coperti. È solo che tanti, più esperti di me, ritengono sia che i business case tradizionali non siano applicabili in questi casi (vedi ad esempio Zijlstra qui), sia che l’idea di finanziare dati geografici facendoli rivendere a chi li ha raccolti non abbia funzionato granché finora (vedi per esempio qui).

Gli stessi esperti sostengono invece che i soldi necessari per avere mappe libere potrebbero e dovrebbero arrivare, in maniera indiretta e in maggior quantità, in mille altre maniere, da quelle viste in Danimarca a quelle… già spiegate nell’articolo stesso di GEOmedia!

	_"Nel rilascio di un certificato di destinazione urbanistica si dovrà addebitare il costo cartografico e catastale della stessa"_
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Chi “compra” un certificato di destinazione urbanistica non sta comprando una mappa. Della mappa in quel momento non gliene frega niente. Sta comprando, perchè è costretto a farlo dalla legge, qualcosa che può essere a pagamento anche se basata su una la mappa gratuita, visto che è un documento separato dalla mappa stessa e ottenibile solo da una Pubblica Amministrazione.

Insomma, che incompatibilità c’è fra avere licenze libere per dati geografici certificati e pagarne i costi (anche) in modi del genere? Qual è il problema se già l’articolo stesso indica il tipo di soluzione? Infine, mentre non mi pare che liberare i dati anche per uso commerciale farebbe alcuna differenza su quei ricavi, aumenterebbe sicuramente sia gli usi non commerciali (quelli da cui nessuno avrebbe mai cavato un centesimo per pagare le mappe!) sia attività commerciali (=tassabili!) che non sarebbero nemmeno iniziate se avessero dovuto pagare le mappe, come ad esempio Goolzoom in Spagna.

Concludendo, l’argomento sicuramente è delicato, ma non mi pare che quella pagina basti a dimostrare la tesi da cui parte.