"Prestare attenzione": quando un (quasi) hacker finisce in mezzo ai sociologi
L’attenzione è una merce preziosa e rara come l’oro in questi tempi di continue interruzioni, messaggini da 140 caratteri e gente per cui esiste solo quello che appare nella prima pagina di risultati di Google. A settembre 2010 ho partecipato a una conferenza su questo tema, chiamata proprio Prestare attenzione: culture digitali e responsabilità generazionali. È stata un’esperienza interessante, che mi ha confermato, come spiegherò fra poco, il bisogno per “hacker” e tutto il resto del mondo inclusi (soprattutto?) gli intellettuali, di prestare più attenzione possibile, prima possibile, gli uni agli altri.
Io non sono un hacker vero e proprio (un termine che fra l’altro non significa affatto “criminale informatico”, grazie!). Certo, io uso soltanto Software Libero come Gnu/Linux e OpenOffice, scrivo e insegno) più che posso su questi argomenti e sono pure capace, quando proprio serve, di modificare e compilare codice sorgente tutto da solo. Comunque quasi sempre mi fermo a cose più semplici. In ogni caso, in quella particolare conferenza ero la cosa più vicina che si potesse incontrare a un hacker vero e proprio.
Sono contento di aver partecipato e aver fornito, come spero e mi sembra dai commenti ricevuti, un contributo utile al discorso. Oltretutto è stata anche un’esperienza rinfrescante, per qualcuno che normalmente partecipa soltanto a conferenze sul software o comunque hi-tech. Dopo i primi 2/3 interventi, per esempio, sentivo che c’era qualcosa di strano ogni volta che l’oratore di turno citava qualcuno… poi ho capito che era soltanto il modo in cui lo facevano: “vedi capitolo 11 a pagina 150” invece di “vedi http://www.qualchecosa.com”
Cavoli, pensavo, ma mi state citando veri libri invece di qualche cara, vecchia pagina Web come fanno tutti? È stata una gran bella sensazione e un promemoria dal mondo reale, di cui avevo davvero bisogno dopo tante conferenze tutte digitali a proposito di questo o quello “online”, che vita e cultura esistono anche da prima e fuori di una finestra del computer.
Scherzi (ma mica tanto) a parte, la conferenza è stata davvero molto interessante. Il sito ufficiale contiene resoconti (in inglese) dettagliatissimi, qui invece troverete solo qualche nota sulle parti per me più importanti come spunti di riflessione. Imren Borsuk , per esempio, ha descritto le conseguenze di Internet sul dibattito politico in Turchia. Tiziana Terranova ha parlato della plasticità del cervello umano e di come esso impara per imitazione, reagendo all’ambiente e agli stimoli esterni e “rispecchiando” i medesimi.
Che c’entra questo col software di cui mi occupo normalmente?
Beh, c’entra perchè significa che i nuovi strumenti, mezzi di comunicazione e abitudini create o indotte dal software, dal fare mille cose insieme alla navigazione casuale su Internet, possono riarrangiare e modificare i percorsi neurologici nel cervello stesso! Dal punto di vista di chi promuove il Software “libero come la libertà” è difficile trovare motivazioni migliori di questa del perché si devono facilitare la maggior varietà e modificabilità possibile delle interfacce software. Se al mondo rimanessero un solo sistema operativo e una sola interfaccia software, tutti i cervelli verrebbero stimolati sempre in uno e in solo modo, cosa che non può certo avere conseguenze positive.
Bernard Stiegler ha detto un sacco di cose complicate ma interessanti. Quella più interessante per me è stata:
i metadati (cioè dati relativi ad altri dati) sono apparsi per la prima volta in Mesopotamia e la produzione di metadati è sempre stata, dai primi imperi della protostoria fino a oggi, la principale attività di quelli che detenevano il potere
A causa del lavoro che faccio, il mio punto di vista e la mia definizione di metadati non sono certo identici a quelli di Stiegler, ma questa sua frase è molto utile e stimolante anche nel mio campo. Se controllare la produzione e la gestione dei metadati è monopolio di “quelli al potere”, chiunque riesca, in quest’epoca in cui i metadati sono tutti digitali, a fare usare a tutti gli altri i suoi formati di file e protocolli informatici segreti è anche chi decide veramente chi comanda: in altre parole, chiunque controlli i protocolli di comunicazione informatica e i formati dei file (e non l’hardware, checchè ne dicano Umberto Eco e Franco Debenedetti!.
Gunnar Liestol ha presentato le sue “sitsim” o simulazioni situate: inquadra con il tuo iPhone un monumento, per esempio il Colosseo, e subito lo vedrai nello schermo con in sovrimpressione dati, foto, spiegazioni, animazioni in realtà virtuale e compagnia cantando. Tutto grazie a un programma che, dai sensori di movimento e dal GPS integrati nell’iPhone stesso, capisce dove ti trovi e cosa stai guardando.
Le sitsim di Gunnar sono grandiose, ma sono anche una prova di quanto ho detto poi io nel mio intervento e sono costretto a ricordare continuamente anche a [fior di “esperti” /it/2010/12/dopo-umberto-eco-anche-franco-debenedetti-sbaglia-sui-libri-elettronici/] e a varie [Università /it/2010/12/devi-discutere-la-tesi-sii-compatibile-con-windows/], come dimostra la storia di Piazza Federica a Napoli: quanta attenzione prestiamo oggi al futuro, cioè a permettere alle generazioni future di “prestare attenzione” a quello che noi facciamo oggi con il software? Finchè metteremo tutto quello che facciamo dentro scatole di cui non abbiamo la chiave, cioè in file i cui formati sono più o meno segreti, tutto quello che facciamo digitalmente rischia di scomparire molto presto. Le sitsim di Gunnar, per esempio, saranno ancora utilizzabili quando (occhio: non “se” ma quando!) l’iPhone e tutta l’Apple non saranno più in circolazione? L’unica soluzione è usare solo formati di file davvero aperti, a partire dalle Università.
Su questo tema potrei continuare a lungo, ma quello che avete appena letto dovrebbe essere sufficiente a provare quel che ho scritto all’inizio: “il bisogno per “hacker” e tutto il resto del mondo inclusi (soprattutto?) gli intellettuali, di prestare più attenzione possibile, prima possibile, gli uni agli altri”. La tecnologia digitale fa legislazione, nel senso che può bastare a imporre, meglio delle leggi, vincoli anche pesanti alla libertà delle persone.
La conclusione è che è indispensabile, in quest’epoca, che chiunque si interessi di studi sociali abbia anche una formazione solida su tutti i concetti di base non tecnici del software e delle tecnologie digitali. Ed è anche indispensabile che tanti “tecnocrati” e smanettoni informatici prestino seriamente attenzione alle conseguenze sociali di quello che fanno. È necessario costruire molti ponti fra questi due mondi, presto, e usarli spesso.
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