Moriremo sepolti dalle auto, ma è indispensabile produrle anche dopo il 2011

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Nelle ultime 24 ore sono apparse due notizie che sarebbero importanti anche considerate separatamente, ma viste insieme una dopo l’altra fanno un po' impressione. O almeno a me danno parecchio da pensare e confermano che certe domande che facevo qualche mese fa sono importanti.

Notizia numero 1, da Repubblica del 12 maggio 2010:

_Moriremo tutti sepolti dalle macchine perché il nostro parco auto continua a crescere, anche se abbiamo già la più alta concentrazione in Europa: 59 vetture ogni 100 abitanti, abbastanza da coprire completamente di lamiera Milano e Firenze._

Notizia numero 2, da AGI news dell'11 maggio 2010:

_Riteniamo indispensabile - ha concluso il sindacalista metalmeccanico - la presenza della FIAT in Sicilia anche dopo il 2011_

Continuano a parlare di produrre auto a Termini Imerese dopo il 2011, magari elettriche, anche politici come Tajani e imprenditori come Sergio Cimino o Gian Mario Rossignolo, proprietario di De Tomaso.

Ma se in Italia non c’è più spazio dove mettere le auto e quasi tutto il resto del mondo sta solo poco meglio di noi come spazio o non ha abbastanza soldi per comprare auto, perché si fanno ancora questi discorsi? Non dimentichiamo che il problema non cambierebbe affatto anche se tutte le auto andassero ad aria, senza più inquinare.

Se non c’è spazio, non c’è spazio. Anche se ci fossero i soldi, come si potrebbero costruire abbastanza parcheggi e strade nuove senza radere prima al suolo interi quartieri? Inoltre, 59 auto ogni 100 abitanti significa, sottraendo da quei 100 bambini, adolescenti, anziani, carcerati e invalidi, che tutti gli italiani che oggi potrebbero usare un’auto già ce l’hanno. Però quasi nessuno di loro ha i soldi per cambiarla ogni 2/3 anni e l’Italia è un paese in calo demografico.

In queste condizioni, come si può contare sull’auto per più di qualche anno, sia come mezzo di trasporto che come fonte di lavoro?

Tutelare l’occupazione va benissimo, ma avere “garanzie” di continuare a fabbricare per vent’anni qualcosa che sicuramente diventerà sempre più difficile usare, anche se sarà ecologica e costerà poco, forse non è una garanzia, è accanimento terapeutico. Una condanna, insomma. Chi ci guadagna veramente?

Altre cose su cui riflettere attentamente:

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