Non c'è più distinzione fra produttori e fruitori d'informazione. Da almeno nove anni
Nel 2001, quando c’era il secondo governo Amato, sostenuto da Ulivo, PDCI, UDEUR e indipendenti ma ancora non c’erano YouTube, blog e social network, arrivò una proposta di legge che voleva, ovviamente nell’interesse dei cittadini, “regolamentare l’editoria elettronica”, cioè Internet. Se il discorso vi suona familiare è perchè è attualissimo, vedi il cosiddetto Decreto Romani e i timori di questi giorni sul Web chiuso per rettifica.
All’epoca scrissi una lettera di protesta contro quella legge, intitolata “Non esiste più la distinzione fra produttore e fruitore dell’informazione”. Forse io oggi non la scriverei esattamente nello stesso modo, ma mi pare interessante ripubblicarne (senza modifiche!) qualche paragrafo, perché basterebbe sostituirvie “contenuti testuali” con “video” oppure “quotidiani” con “stazioni TV” e potrebbe essere stato scritto nel 2010. A dimostrare che tempi, tecnologie e governi cambiano, ma certi problemi, e soprattutto certi tipi di “soluzioni”, no. Lascio ai lettori chiedersi il perché. Ecco la sintesi.
La legge 62/2001 sull’editoria elettronica sta suscitando un vero vespaio, dovuto almeno in parte alla vaghezza del testo e al fatto che i suoi redattori sembrano essersi basati, più o meno inconsapevolmente, su svariate ipotesi di rado verificate nella realtà. Per esempio… moltissimi siti usano programmi sul server che compongono la pagina in tempo reale al momento della richiesta, mettendo insieme brani e link scritti da altri chissà dove: spesso ogni navigatore vede una pagina diversa. In questi casi la produzione di contenuti mai uguali in italiano avviene in tempo reale sul server congolese. E quale legge vale?
È stato anche detto che l’obbligo sussiste solo per i siti che fanno informazione periodica, o solo per quelli che chiedono i contributi. A parte il fatto che conta soltanto ciò che la legge dice esplicitamente, almeno la prima distinzione l’avevamo capita benissimo, e continua a darci fastidio. Con la Rete non esiste più la distinzione fra produttore e fruitore dell’informazione, e l’informazione prodotta in casa può essere altrettanto di qualità quanto quella “professionale”.
Io posso pubblicare ogni sera dopo cena, con periodicità perfetta e gratis, solo perché mi piace farlo, cento pagine di commenti/link/saggi/ su qualsiasi argomento, dalla P2 alla storia dell’uncinetto a ciò che si è detto a Montecitorio. Me lo garantisce la Costituzione, mica il primo Chiti che passa. Se poi dieci milioni di persone trovano i miei articoli più interessanti dei quotidiani, vuol dire che quei quotidiani devono cambiare redattori, mica che io devo essere schedato o iscrivermi a qualche casta.
Precisare che “sono interessati solo i siti che si aggiornano a scadenza fissa, cioè quelli professionali”, non fa che aumentare la confusione: che vuol dire professionale? Per soldi, oppure “in maniera competente e responsabile”? Sono due cose ben diverse..
D’altra parte, ciò che ha fatto gridare al liberticidio dal primo momento sono state proprio le dichiarazioni del segretario della Federazione Nazionale della Stampa (cito da Punto Informatico): “Finisce così, almeno in Italia, l’assurda anarchia che consente a chiunque di fare informazione on line senza regole e senza controlli e garantisce al cittadino-utente di avere minimi standard di qualità di tutti i prodotti informativi, per la prima volta anche quelli comunque diffusi su supporto informatico”.
Ancora? Il cittadino non è più solo utente, è proprio questo il punto. Ora, è ovvio che devo avere il coraggio delle mie opinioni, e che se calunnio qualcuno devo pagarla, in qualunque modo l’abbia fatto. Di fronte a certe uscite però, come faccio a non credere che quello vuole solo mettere il bavaglio (per conto terzi, ovviamente) a chiunque non gli giuri sottomissione? È proprio perché, al di là della lettera della legge, abbiamo pochi dubbi su come si vorrebbe usarla che ci stiamo agitando tanto.
In conclusione, anche senza voler vedere complotti ad ogni angolo, questa legge sembra proprio non capire cosa Internet è veramente, cosa ci si può (e ci si dovrebbe) fare, e come si può farlo, lasciando via libera ad abusi da una parte e dall’altra.
Fine della sintesi. E nel 2010, che succede?
Come dicevo, cambiano tempi e governi, ma di strada se ne fa poca. Cerchiamo almeno di non rifare gli stessi sbagli. Nel 2001 scrissi un’altra lettera su questo stesso tema, notando che Internet è democratica quanto i fumetti, e per le stesse ragioni. Purtroppo o per fortuna anche quella lettera è ancora piuttosto attuale, quindi vi invito a leggerla. Se invece v’interessa la versione integrale della lettera riassunta qui sopra, è ancora online.
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