Limiti e rischi dei "dati come moneta"
Qualche giorno fa, parlando di alternative a Facebook e simili, ho espresso qualche mio dubbio sull’idea generale di “usare i propri dati come moneta” che mi sembra utile conservare anche qui.
Partendo dall’articolo “Una cittadinanza digitale per uscire dalle prigioni del web” si discuteva su Google Plus di due cose:
- “se Facebook fosse una cooperativa di utenti dovrebbe dotarsi non solo di un governo democratico, ma anche di un sistema di controllo che assicuri la democraticità del governo”
- “Per guadagnare ogni utente dovrebbe poter essere in grado di “vendere” i propri dati a chi li vuole usare (ad esempio banche o assicurazioni) per offrirci servizi personalizzati”
Sul primo punto, sono convinto già da tempo che qualsiasi cosa sostituirà Facebook non potrà certo risolvere quello specifico problema trasformandosi in una cooperativa. Sull’usare i propri dati “come moneta” invece, ho questi dubbi (dubbi che, non so perché, ora non vedo più nella discussione Google Plus):
- In generale, l’intero discorso mi suona male alla radice. Perché riconduce a vendita e mercato quello che dovrebbe essere un diritto, cioè accesso a servizi online essenziali, e soprattutto alla comunicazione (che è libertà di parola, alla fine). Un po' come passare da sfruttamento della prostituzione a prostituzione autogestita, ma universale e di fatto obbligatoria per tutti
- I minorenni che vendono? Potrebbero vendere in primo luogo?
- Discriminazione economica. Se l’accesso a servizi personalizzati si paga vendendo i propri dati, si rischia che chi ha meno da vendere avrà meno servizi e/o di qualità inferiore. E poichè chi ha dati da vendere è chi ha più potere di acquisto, perchè se non ho alto reddito posso comprare e pretendere meno, boh
- Parità di accesso alle informazioni con cui si dovrebbe decidere cosa vendere e a chi. Perché se ti fanno fare le domande sbagliate, le risposte non contano (cit.)
- Discriminazione culturale. Anche con le informazioni corrette, chi è più ignorante ha meno strumenti per valutarle da solo. Dovrebbe avere aiuto, non (solo) la possibilità di “comprare” la prima cosa che gli viene offerta.
Insomma, di sicuro bisogna arrivare ad avere tutti più controllo sui propri dati, e ad avere una cultura general che ci permetta di farlo. Dubito che ci voglia meno di una generazione. Di conseguenza, prima di buttarsi sull’idea di “data as currency”, cioè usare come moneta i propri dati, o quelli che potremmo raccogliere in giro, pensiamoci bene. Forse certe cose non dovrebbero essere vendibili, in qualunque valuta. E forse, anche se lo fossero, dovrebbero essere acquistabili con “valute” che siamo sicuri tutti possiedano in eguale quantità. Tutto qui.
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