Industria 4.0, Smart Cities, Startup o... Fai-da-te Digitale?

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I primi tre termini nel titolo di questo pezzo, insieme a Internet of Things e Big Data, sono quelli che, in questo periodo, sembrano maggiormente di moda quando si parla di innovazione, soprattutto se “digitale”. C’è però un altro fenomeno, su cui mi è capitato di lavorare parecchio ultimamente, che forse ha ricevuto meno attenzione di quelli, ma potrebbe influenzarli in parecchi modi importanti.

Parlo del Digital DIY, ovvero “Fai-da-te Digitale”, che è l’oggetto, nell’ambito del programma Horizon 2020, del progetto di ricerca DiDIY cui partecipo come membro del Free Knowledge Institute.

DiDIY? Cos’è, un altro nome per stampa 3D, maker e fablab?

Sì e no. Sì perché, come potete leggere nell'introduzione al progetto, il DiDIY “si potrebbe definire come l’insieme di tutte quelle attività (e mentalità) di produzione che sono possibili solo tramite l’uso di tecnologie digitali”.

No perché, almeno nell’ambito di questo progetto, il termine DiDIY:

  • include stampa 3D e le altre cose che si fanno in un fablab, ma anche qualsiasi altra attività di fabbricazione fai-da-te svolta “autonomamente” (notare le virgolette), e possibile solo grazie a tecnologie digitali.
  • si applica esplicitamente anche a:
  • professionisti, da dentisti a sarti e falegnami, che il DiDIY lo praticano a scopo di lucro. Cioè per costruirsi da soli, non per hobby nè per venderli, gli strumenti che gli servono per il loro “lavoro vero”
  • organizzazioni o comunità, da singoli dipartimenti di aziende a pubbliche amministrazioni o associazioni non-profit, che se ne servono per risolvere i loro problemi da soli, anzichè ingaggiare un professionista esterno.
  • al limite, si applica anche a chi “fa DiDIY”… per conto terzi, per esempio un maker che completa e poi realizza progetti o richieste fatti da chi, per qualsiasi motivo, non potrebbe fare tutto da sé
  • non guarda alle tecnologie in sè, ma soprattutto a tutti i cambiamenti, a lungo termine, a tutti i livelli (socioeconomico, politico, culturale, ambientale) e per tutti, non solo i maker, che verranno dalla sempre maggiore accessibilità di quelle tecnologie

L’ultimo punto è il più importante. Che succede in una società in cui tutti hanno accesso più diretto possibile alla fabbricazione digitale fai-da-te? Come funzionerebbe, e che leggi dovrebbe avere, un mondo in cui chiunque, ma proprio chiunque, se vuole:

  • se ha un asilo infantile, può costruirsi i giocattoli che mette in mano ai bambini di altri
  • se è un medico, può costruirsi i suoi strumenti
  • può stamparsi da sè, o meglio ancora farsi stampare dalla “copisteria digitale in 3D” all’angolo, i pezzi di ricambio per qualsiasi cosa gli si rompa in casa?

Come sarebbe un’Europa in cui queste cose sono normali come farsi una fotocopia della patente? Dove la “innovazione senza permesso” non è la regola, ma l’eccezione? Più o meno stabile, più o meno competitiva, più o meno sicura, più o meno inquinata?

A proposito di industria, smart cities e innovazione in generale

Diventando fenomeno di massa, o almeno effettivamente accessibile alle masse, il Fai-da-te digitale potrà senz’altro accelerare l’Industria 4.0, far nascere ancora più startup, rendere le città ancora più smart, eccetera. Allo stesso tempo, però, potrebbe creare dei problemi a quegli altri fenomeni, o movimenti, e da più direzioni.

Dall’interno, perchè il fai-da-te digitale è per definizione autonomo, distribuito, incontrollabile e risponde sempre a problemi concreti, dal basso. Molti programmi di Industria 4.0 e Smart Cities sono calati dall’alto, o hanno comunque architetture monolitiche, e gestione centralizzata. Alcuni di quei programmi o prodotti poi, sembrano soluzioni in cerca di un problema, più per creare o espandere mercati che per effettivi bisogni dei loro “clienti”.

Quale città è più smart? Quella che ha una sola rete di sensori, tutti dello stesso fornitore, tutti connessi alla stessa piattaforma e quindi, teoricamente, tutti vulnerabili nello stesso modo? O una con tante reti, ognuna fatta diversamente e autonomamente, quindi più resistente ad attacchi? E quale città è più smart, una che compra grandi sistemi allo stato dell’arte, o una che si fa da sè, per quanto possibile, il minimo indispensabile?

La minaccia “esterna” del Fai-da-te digitale, invece, consiste nel fatto che le stesse caratteristiche già citate possono creare, anzi sicuramente creeranno, qualche difficoltà a certi modelli di business, o addirittura a certe aspettative dei cittadini, e a diritti considerati acquisiti.

In una società in cui il Fai-da-te digitale è diffuso è molto più facile di oggi prodursi oggetti su misura, o modificarli a piacere. Questo ha una serie di vantaggi enormi, ma rende anche molto difficile aspettarsi le stesse garanzie che oggi, come consumatori, diamo per scontate. Come dice l’Uomo Ragno, da un grande potere derivano grandi responsabilità. Fai-da-te digitale significa anche che se qualcosa mi fa del male, è più probabile che sia colpa mia. Senza contare che molte attività di Fai-da-te digitale probabilmente lo riducono il PIL, non certo il contrario.

“Industria 4.0” significa (anche) digitalizzare tutta la catena dal design alla produzione e distribuzione, magari producendo ricambi solo quando e dove effettivamente vengono richiesti. In un mondo così, è anche inevitabile che i progetti digitali originali e “segreti” vengano copiati e condivisi online, per farsi i ricambi da soli.

In casi del genere, un’azienda ha tutta una serie di strumenti legali per bloccare, almeno in teoria, certi comportamenti perché sono illegali.

Ma come potrebbe contrastare la circolazione e l’uso di design originali e Open Source, distribuiti e utilizzabili in maniera totalmente legale? Ovvero: quale sarà l’impatto sull’economia tradizionale quando chiunque potrà effettivamente costruire, farci assistenza o acquistare prodotti come lavatrici digitali e Open Source, fatte per durare CINQUANTA ANNI?

Parliamone a giugno!

Che dovrebbero fare le istituzioni? Favorire o prevenire (ammesso che sia possibile…) scenari come quelli definiti e studiati da DiDIY? Quale modello di “gestione” del Fai-da-te digitale dovrebbe essere maggiormente favorito da legislatori e amministratori locali?

Gli scenari e domande che vi ho appena raccontato sono quelle su cui noi del progetto DiDIY abbiamo speso gli ultimi due anni, ottenendo, almeno spero, diversi risultati interessanti. Quelli di uso più largo e immediato potrebbero essere delle linee guida sul Fai-da-te digitale, per decision-maker ed educatori europei.

Noi presenteremo tutto questo nella nostra Conferenza Finale a Milano, il 22 giugno 2017 (registrazione gratuita ma obbligatoria!). Vi aspettiamo lì, per parlarne insieme! Nel frattempo, facciamolo su Twitter, Facebook o via email. L’evento su Facebook invece è questo.

Per saperne di più…

Per prepararsi alla conferenza, e in generale conoscere meglio DiDIY, suggerisco la lettura, più o meno in quest’ordine, di:

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I am Marco Fioretti, tech writer and aspiring polymath doing human-digital research and popularization.
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