Scuola 2.0: solo per i colossi, e senza Book in Progress?

La settimana scorsa Repubblica ha pubblicato una sorta di spot pubblicitario mascherato da articolo, comunque interessante e con un titolo onesto:

Scuola 2.0, i colossi dell’informatica scendono in campo contro il digital divide. Si tratta di un depliant che spiega abbastanza bene le “soluzioni di Microsoft, Samsung e Apple per ridurre il gap dell’Italia in un settore cruciale per l’istruzione del futuro”. In quei consigli per gli acquisti ho trovato un’assenza inspiegabile e una menzione molto interessante per quello che (non) dice.

A proposito di digital divide

Quell’articolo non dice chiaramente che certe iniziative rischiano di aumentarli i divari digitali, oltre a mantenere quella dipendenza digitale della scuola italiana da poche aziende già permessa da tempo, ai massimi livelli.

L’articolo non dice che, se siamo in tempi di “cloud” cioè, a farla semplice, di comunicare e lavorare tramite servizi Internet qualunque sistema usiamo, anzichè formati di file e software che funzionano solo su certi sistemi operativi, forse non ha molto senso “chiudere” degli studenti su Office, 365 o meno, e altre gabbie dello stesso tipo.

L’articolo non dice che scuole e famiglie che non possono permettersi hardware nuovo o quasi rimangono tagliate fuori, se si usano soluzioni che funzionano solo con software proprietario, che non sempre è utilizzabile su computer “vecchi”.

L’articolo non dice se e quanto quei sistemi sono compatibili fra loro. Una classe che va con Microsoft può scambiarsi lavori con una che è andata con Apple o Samsung? Se un docente viene trasferito da una scuola a un’altra di fede diversa, può riutilizzare tutte le lezioni, appunti, dispense e simili che aveva preparato o deve rifarli da capo?

L’articolo non dice nemmeno che in molti casi esistono adeguate alternative aperte e senza costi di licenza, dalle lavagne multimediali come Wiildos o tutto quello che si discute in posti come, ad esempio, Didattica Aperta.

Ricapitolando, l’articolo non dice quello che ASSOLI e non solo dicevano chiaramente cinque anni fa: la scuola pubblica deve diffondere la cultura digitale e non promuovere l’utilizzo di prodotti, formando cittadini e non consumatori.

Che è successo a Book in Progress?

Book in Progress è un progetto di autoproduzione di testi e altri materiali scolastici che, nonostante la sua chiusura e alcune lacune non proprio trascurabili, fino a poco tempo fa aveva goduto di plausi ufficiali e copertura mediatica tanto regolare e importante quanto acritica. Oggi, invece, quell’articolo parla ancora di qualcosa che, considerando la scuola in cui avviene, se non è proprio Book in Progress è un suo discendente o parente strettissimo. Ma lo liquida in due righe, senza nome, come “forma digitale [di] un progetto ‘cartaceo’ di materiali integrativi per la didattica”. Interessante. Che sarà successo?