Computer personali a scuola, privacy e lavoro no-limits nella vita

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Alessandro Rabbone ha scritto un gran bel commento, da leggere tutto, a un articolo secondo il quale “la vera frontiera su cui forse vale la pena sperimentare nuovi modelli didattici è proprio quella di affidare ad ogni studente” un qualche computer portatile per uso personale, da usare anche a casa.

I punti più interessanti del commento di Rabbone sono, secondo me:

  • In realtà è l’Internet, e non il pc in sè, che negli ultimi anni mette a disposizioni luoghi e strumenti per l’apprendimento, anche dei bambini.

  • Credo sarei molto più interessato a sperimentare nuove forme di organizzazione della didattica scolastica e di comunicazione insegnante-alunno… Se i miei alunni potessero quotidianamente e facilmente depositare i loro testi d’italiano su Google Documenti, potrei correggerli e commentarli da casa, da scuola sulla LIM, perfino dall’iPhone mentre sono sul tram. E gli elaborati sarebbero sempre lì, pubblicabili con pochi clic, pronti a farsi leggere dai genitori e dai compagni… ma questo sarebbe possibile solo con un pc per alunno

Sul primo punto, concordo in pieno. Sono d’accordo anche sul secondo, con l’unica eccezione che non suggerirei Google Documenti o altre soluzioni gestite da terzi come soluzioni ottimali. Il motivo per questa eccezione è molto semplice: quanto è compatibile fare, nel Piano di Offerta Formativa o altrove, solenni dichiarazioni ufficiali di rispetto della privacy secondo le normative vigenti eccetera… con l’adozione ufficiale di servizi di un’azienda privata che con quello che viene a sapere dei suoi utenti (in questo caso anche minorenni) ci fa i suoi interessi secondo le sue politiche?

In un certo senso è lo stesso problema recentemente sollevato da Lauren Weinstein a proposito dei “nazisti dei commenti” su Facebook. Ci sono altre soluzioni per lavorare in gruppo via Internet, che una scuola può installare sul proprio server (ne parlerò in un prossimo articolo), gestendo quindi tutti i dati sensibili come è tenuta a fare, secondo i suoi criteri.

A parte questo, il secondo punto qui sopra mi ha fatto molto effetto perché, per puro caso, l’ho letto subito dopo un articolo di Repubblica su l’era del lavoro no-limits:

_"La tecnologia che doveva liberarci dalla schiavitù dell'ufficio ci ha resi reperibili giorno e notte. Un dipendente su cinque è impegnato più di 48 ore a settimana. E per gli autonomi è ancora peggio"_

La conseguenza, sempre secondo quell’articolo, è uno stravolgimento di metabolismo e abitudini che ha indotto l’OMS a inserire il lavoro fuori orario tra le possibili cause di rischio sanitario, con un aumento dal 30 all'80% della possibilità di contrarre patologie tumorali.

Che fare allora? Rinunciare ai computer a scuola e nel lavoro? No, certo. Fra l’altro molti dei ragazzini che sono “salvi” da rischi del genere perché non hanno la possibilità di fare i compiti in rete con il maestro magari sono gli stessi che spendono altrettanto tempo fermi limitandosi a usare il computer per giocare o chiacchierare su Facebook, oppure, più semplicemente, rimbambendosi davanti alla TV. Però come insegnare a quei ragazzi a mantenere l’equilibrio nell’uso di computer e Rete? Qual è l’equilibrio? Non lo so ancora bene, penso solo che la scuola deve certo iniziare a sfruttare la rete (1) ma anche, allo stesso tempo, aiutare a comprendere l’importanza di staccare la spina ogni tanto.

(1) quando la possibilità c’è, ovviamente, vedi i dubbi di Annalisa su come sfruttare l’insegnamento in Rete che potrebbe arrivare già dal prossimo anno… quando la Rete non c’è!

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