Colonialismo digitale: nulla di nuovo dal secolo scorso?

Quello che state per leggere è un file che ho appena recuperato da una vecchia cartella dimenticata. Di per sè non contiene alcuna rivelazione, solo cose che sia io che (meglio di me) tanti altri abbiamo già spiegato con tutti i dettagli. L’interesse principale, se non l’unico, di quanto state per leggere sta nel fatto che praticamente tutto quello che ho scritto pare una descrizione ancora corretta e (a inizio 2011) appena scritta dell’informatica nella e per la Pubblica Amministrazione. Anche se quel file l’avevo scritto il 28 luglio del… 2000: noterete che parlo ancora di milioni (di lire) non di Euro. Forse l’unica cosa che oggi scriverei diversamente è il punto 1 della lista finale. Per il resto, lascio a voi conclusioni e commenti.

Colonialismo digitale

Il mercato del software di largo consumo (sistemi operativi,programmi da ufficio e grafica) è di fatto un monopolio in mano a pochissime industrie straniere. Questo minaccia seriamente sia la nostra economia, sia il diritto all’istruzione.

Ogni anno, enti pubblici ed aziende mandano parecchi miliardi all’estero per pagare programmi sovradimensionati, difettosi e indifesi dai virus.

Grazie a decine di funzioni mai usate, ogni nuova versione di questi programmi ci costringe poi a buttare computer perfettamente funzionanti, e a comprarne di nuovi più potenti. Tutto questo sulle spalle dei contribuenti/consumatori. Il mutuo, la pizza, o il certificato di nascita ci costano di più perché chi fornisce questi beni e servizi spende in hardware e software molto più del necessario, rifacendosi sull’utente finale.

Essendo scatole chiuse prodotte altrove, questi programmi limitano pesantemente ogni adattamento in loco alle esigenze di una specifica ditta o amministrazione. In altre parole, limitano sia la produttività di chi li usa, sia la creazione di posti di lavoro nazionali nel settore informatico.

C’è anche un altro e più grave pericolo. I fornitori di software cambiano spessissimo il formato dei file, rendendo ogni versione di un programma più o meno incompatibile con le altre, al solo scopo di guadagnare di più. Questo significa che:

  • per leggere un documento scritto con l’ultimo word processor uscito, si deve buttare la versione precedente dello stesso programma, e riaprire il portafoglio.
  • milioni di documenti, atti processuali e legislativi, etc.. spariscono nel nulla. Quanti di quelli che hanno scritto la tesi di laurea su un PC più di cinque anni fa sono in grado di leggerla su un computer nuovo?
  • il bambino povero che fino ad oggi poteva riuscire armato solo di carta e penna viene tagliato fuori dalla scuola (pubblica) se questa distribuisce CDROM e appunti elettronici leggibili solo a suon di milioni.

La soluzione? il cosiddetto software “a sviluppo aperto”, cioè sistemi operativi e programmi, come Linux, sviluppati in collaborazione dai programmatori di tutto il mondo, e utilizzabili da tutti gratis. Oggi questo software non è solo molto più stabile ed efficiente di quello commerciale, ma anche altrettanto facile da usare, e per sua stessa natura immune a tutti i problemi appena descritti.

E' necessario che:

  1. Ogni Pubblica Amministrazione venga obbligata per legge a installare ed usare esclusivamente sofware a sviluppo aperto, a partire dal sistema operativo, tranne in quei pochissimi campi dove tale software assolutamente non esiste.
  2. Ogni Pubblica Amministrazione (a partire dalle scuole) venga obbligata per legge a rilasciare e accettare solamente documenti elettronici scritti in formati di pubblico dominio

Altri paesi, come il Messico o la Francia, hanno già iniziato a ribellarsi al colonialismo digitale. Perché nessun partito, sindacato o ente pubblico italiano fa altrettanto?