Che noia 'sta scusa della privacy per non aprire i dati pubblici

Durante l’evento online Innovatori Jam 2011 è tornato alla ribalta un altro ostacolo ricorrente che chi sostiene, come me e tanti altri, che i dati delle Pubbliche Amministrazioni dovrebbero essere aperti incontra fin troppo spesso (a me per esempio è capitato ascoltando proprio il garante della privacy): qui in Italia, appena parli di Open Data, c’è sempre lo spettro della Privacy.

Il dialogo che segue è una mia sintesi di alcune cose dette su questo tema durante Innovatori Jam, che dimostra quanto, nel caso dei dati pubblici, l’ostacolo della privacy sia spesso inesistente, e a volte una scusa per celare problemi completamente diversi, se non una insufficiente conoscenza dell’argomento.

Da noi appena parli di Open Data, c’è sempre lo spettro della Privacy.

Scusa ma, tanto per capire: chi è esattamente “noi”, e quali sono questi dati che non si possono pubblicare per ragioni di privacy? Perché c’è chi quello spettro lo agita anche quando si parla di pubblicare cose come le mappe

Lo spettro della privacy è la scusante per evitare di fare innovazione. Scommettiamo che, se dovessimo chiedere in formato aperto le piante di tutti gli edifici pubblici aperti al pubblico (musei, gallerie, uffici comunali, palestre….), e quindi di spazi non protetti dall’anonimato come giustamente è la residenza di un privato cittadino, il Catasto opporrebbe un problema di tutela della privacy?

Ma chi si rifiutasse di fornire la piantina di un Museo per ragioni di privacy anzichè di sicurezza pubblica, che potrebbe avere molte più basi concrete (tipo “non facilitare il lavoro di eventuali ladri o attentatori”) sarebbe da ricoverare immediatamente, o almeno da sospendere da tutte le PA d’Italia per insufficiente conoscenza dell’Italiano (perché se cerchi parole per non fare qualcosa che non ti piace, dovresti almeno evitare quelle che hanno tutt’altro significato). Davvero è questo che rispondono a quella particolare richiesta di dati?

Volevo dire che non escluderei che gli stessi gestori dei Musei possano sporgere denuncia su quelle basi se fai un sito tuo intitolato, che so, Musei d’Italia.

Anche se cose del genere non fossero mai successe, il fatto stesso che sembrano credibili (perché purtroppo lo sembrano eccome!) al punto da averne dovuto discutere, segnala che c’è un problema.

Perché ormai siamo a un livello tale in cui si può e si deve, visto lo stato dei conti pubblici e l’esigenza di trasparenza e di ricambio che c’è, segnalare educatamente ma pubblicamente l’inconsistenza di certi discorsi. Per esempio facendo, magari anche con apposite pagine Facebook o petizioni online, domande come:

	Caro direttore del museo X, che magari piange perché ha pochi visitatori e le tagliano i fondi, mi spiega per favore pubblicamente e chiaramente che danno **alla privacy** ci sarebbe se io pubblicassi una mappa del "suo" Museo sul mio sito?
	</blockquote>
</blockquote>

Quasi sempre i dati di cui si richiede l’apertura non sono solo pubblici nel senso di “prodotti da Enti Pubblici pagati da tutti i cittadini e al servizio dei medesimi”. Sono anche dati che non hanno nulla di personale e che di rischi per la privacy non ne presentano affatto. Di motivi con un minimo di serietà per non aprirli subito possono anche essercene, dal non sapere come fare e dal credere che costi troppo (obiezioni che ho discusso qui) a ragioni di sicurezza (*) che è tutto un altro discorso. Ma spesso quando ci si sente dire “no, per la privacy” non ci sono ragioni concrete. Per questo è così noioso sentirselo ripetere.

(*) che poi, nel caso dei Musei, non stanno in piedi comunque. Chi volesse rubare in un Museo o farlo saltare in aria farebbe un sopralluogo di persona, certo non si fiderebbe solo di una mappa online. Siamo seri, dai.