Riflessioni su alcuni problemi giuridici, tecnici e gestionali per le Pubbliche Amministrazioni che si prepararano ad aprire i loro dati

Questo articolo è una sintesi in italiano, originariamente scritta per una rivista, del capitolo 7 del rapporto Open Data, Open Society. Questa prima parte riassume nella maniera più sintetica possibile come promuovere l’apertura dei dati pubblici. La seconda spiega alcune tentazioni e rischi di natura legale, tecnica e politica che attendono tutte le Pubbliche Amministrazioni (PA) che si preparano ad aprire i loro dati.

La conclusione descrive alcuni impegni e sfide organizzative e culturali per le PA e per i loro dipendenti e dirigenti, derivanti dall’apertura dei dati pubblici.

Come promuovere l’apertura dei dati pubblici

Gli esempi e le analisi presentate nei primi sei capitoli del rapporto Open Data, Open Society (ODOS) confermano che, anche se esistono seri problemi la cui importanza non va sottovalutata, esistono ragioni molto valide per aprire (nel senso indicato nel rapporto stesso cioè, in estrema sintesi, pubblicare online con formati e licenze aperti) e lasciar utilizzare il più possibile tutti i dati pubblici che possono essere aperti. Perchè questo accada in pratica è necessario intraprendere diverse azioni, a livello politico, giuridico, tecnico e formativo.

È convinzione personale dell’autore che, nei prossimi anni, alcuni politici si renderanno sicuramente conto prima dei loro concorrenti che aprire i dati pubblici può essere un nuovo e potente strumento per guadagnare voti. Indipendentemente da ciò, e nonostante l’insistenza del rapporto ODOS sulla dimensione locale dei dati pubblici, una cosa è chiara.

Gran parte dei benefici portati dai dati aperti nel Regno Unito di oggi sono conseguenza diretta o indiretta del Freedom Information Act (FOIA) del 2004 e di altre iniziative, sempre a livello di governo o partiti politici centrali, partite anni fa. Anche in altri paesi è necessario seguire la stessa strada, cioè appoggiare politicamente ai massimi livelli l’apertura dei dati pubblici, se si vuole trarne il massimo vantaggio per la società.

Questo però non significa affatto che le amministrazioni locali possano ignorare il problema, anche perché sono loro a controllare la maggior parte dei dati pubblici. Iniziative ufficiali di apertura di specifici dati possono e dovrebbero quindi partire anche dal basso, prima possibile.

Il supporto per i dati aperti che deve venire dall’alto, cioè da istituzioni centrali, consiste principalmente di tre cose. La prima è definire con chiarezza, per legge, cosa è dato pubblico che dovrebbe essere aperto, e cosa non lo è: non è accettabile, come politica generale ufficiale o ufficiosa, lasciare ai singoli uffici pubblici che creano certi dati piena autonomia decisionale su quali dovrebbero essere aperti e quali no.

Tutti i dati che, in base alle leggi esistenti, potrebbero già essere concessi ai cittadini ogni volta che ne fanno esplicitamente richiesta sono buoni candidati per una pubblicazione online, prima possibile, con licenza aperta, soprattutto se (come avviene nella grande maggioranza dei casi!) sono dati che non presentano alcun problema di protezione della privacy.

Però esistono molti casi in cui la definizione di “dati” non è sempre chiara e semplice, a livello sia tecnico che legale, ammesso che esista. Lo stesso vale per la definizione di quali dati sono, per loro natura, “pubblici”.

Ad esempio, in Arizona, nel 2009, è stato necessario un appello alla Corte Suprema dello Stato per stabilire che anche “i metadati allegati agli archivi pubblici sono pubblici, e non possono essere negati a chi ne fa richiesta formale rispettando le normative vigenti”. La sentenza si riferisce al caso di un poliziotto che, avendo fatto causa ai suoi superiori per essere stato degradato tre anni prima, aveva chiesto l’accesso ad alcuni file per verificare l’ora di creazione (cioè, i metadati) di alcuni rapporti negativi sulle sue prestazioni, poiché sospettava che fossero stati scritti, per rappresaglia, dopo che aveva denunciato gravi mancanze di alcuni colleghi.

Alcuni problemi creati da definizioni non sufficientemente chiare o adeguate di “pubblico”, che creano conflitti tra l’esigenza di trasparenza e quella di proteggere la privacy sono menzionati tra gli altri, da Diego Ghisilieri nel suo articolo “Dati (in)disponibili”:

Da un punto di vista giuridico, infatti, la circostanza che un determinato dato sia pubblico non significa che lo stesso possa essere diffuso in modo indiscriminato; sul punto deve necessariamente essere effettuato un contemperamento tra le contrapposte esigenze di conoscenza da parte dei cittadini e quelle di riservatezza dei soggetti cui i dati si riferiscono... ponendo attenzione anche al "diritto all’oblio" degli interessati. Infatti, l’indicizzazione dei dati dell’Operazione Trasparenza da parte dei motori di ricerca potrebbe comportare un sacrificio sproporzionato dei diritti dei soggetti cui i dati stessi si riferiscono. Non deve essere sottovalutato che, attraverso i motori di ricerca, potrebbe essere ricostruito un numero ingente di dati riferiti a questi soggetti (più o meno aggiornati e di natura differente) per motivi del tutto diversi da quelli di trasparenza dell’Amministrazione.

Il primo problema da risolvere è quindi definire e regolare in favore dell’apertura tali ambiguità e omissioni, in maniera omogenea a livello nazionale, se non addirittura europeo.

Le differenze fra leggi e regolamenti a questo livello sono infatti il motivo principale per cui alcuni vantaggi dei dati aperti già visibili in un generico stato dell’Unione Europea non possono essere immediatamente replicate in altri. Un caso in cui l’apertura dei dati crea o protegge posti di lavoro locali riducendo inquinamento e spese pubbliche è il servizio danese Webhusets (descritto in italiano in questa presentazione), che fornisce informazioni via Internet su come è possibile ristrutturare un appartamento per ridurne i costi energetici. Webhusets è possibile e funziona bene perché in Danimarca i Comuni hanno sicuramente a disposizione in formato elettronico anche i progetti degli edifici residenziali e le informazioni tecniche su struttura e materiali utilizzati.

La seconda sfida è arrivare a imporre per legge che tutti i dati definiti come pubblici che possono essere aperti senza problemi di privacy, sicurezza nazionale o simili, vengano effettivamente aperti entro scadenze temporali precise.

Da questo punto di vista è necessario distinguere tra dati che già esistono e dati che verranno creati in futuro. I dati della prima categoria sono ancora, a volte, in formati non-digitali e soprattutto in condizioni spesso non chiare dal punto di vista legale, nel senso che non sono chiare nè la loro licenza d’uso nè, in alcuni casi, la loro origine.

Pertanto, convertirli in formati aperti ed ottenere l’autorizzazione alla loro pubblicazione sono sforzi supplementari che vanno presi in considerazione.

La procedura per i dati che devono ancora essere generati è più breve da descrivere (ma non necessariamente semplice, in pratica). In tal caso, leggi e regolamenti devono arrivare prima possibile a rendere obbligatoria la pubblicazione online, con licenza aperta fin dall’inizio, di tutti i dati, anche per ragioni economiche: il costo complessivo del rendere i dati aperti perchè cittadini e aziende iniziano a farne richiesta è maggiore di quello da sostenere per pubblicarli online fin dall’inizio. Questo principio deve valere anche per i dati creati, con denaro pubblico e per conto di una Pubblica Amministrazione, da terze parti.

I vantaggi derivanti dall’apertura dei dati fin dall’inizio sono discussi in dettaglio nel rapporto ODOS, quindi qui ci limiteremo fornire un solo esempio. Nel Regno Unito il progetto YourNextMP offre un servizio simile, concettualmente, a quello realizzato in Italia da openpolis: pubblicazione online di dati sull’attività di candidati politici e parlamentari, in formati tali da facilitare al massimo analisi e confronti del loro lavoro e dei loro programmi a tutti gli elettori.

Oggi YourNextMp e OpenPolis hanno un costo non trascurabile semplicemente perchè i dati devono essere convertiti, riformattati e pubblicati sui due siti a mano, magari a partire da brochure o altre fonti cartacee. Tutto questo lavoro di raccolta e digitalizzazione potrebbe e dovrebbe essere evitato semplicemente obbligando per legge ogni candidato a pubblicare online a sue spese gli stessi dati, direttamente in formati adatti per l’analisi automatica.

Un’altra sfida fondamentale, di natura legale e politica, è la scelta delle licenze con cui pubblicare i dati. Questa analisi è il tema specifico del network eropeo LAPSI (Legal Aspects of Public Sector Information), di cui in Italia fanno parte il centro NEXA del Politecnico di Torino e l'Università Bocconi, per cui in questa sede ci limitiamo a suggerire di consultare gli studi già pubblicati da quelle istituzioni.