Il software? È troppo importante per lasciarlo ai tecnici

Commentando la mia asserzione che la pirateria informatica è colpa anche dello Stato uno sviluppatore di siti Web mi ha scritto (riassumendo):

  1. Cercare di scrivere programmi o siti “per tutti” è una cosa che richiede molto tempo in fase di sviluppo, motivo per cui, se il cliente ha pagato per fare una cosa visibile in qualunque formato/browser/sistema operativo, si fa. Altrimenti NO. Si cerca di accontentare la maggioranza degli utenti e chissenefrega di linux che non ha WmV (un formato video). Brutto da dirsi ma è così.

  2. Non vedo di buon occhio nemmeno chi utilizza software Open Source che non ha pagato e poi pretende di avere lo stesso trattamento di chi ha pagato qualcosa, discutibile o meno.

  3. Esempio cretino (volutamente): Se mi costruisco una automobile da solo con amici alla domenica, non pretendo le stesse prestazioni di un Audi

In senso stretto il punto 1 è assolutamente corretto (non sempre, ma spesso) da un punto di vista puramente tecnico. Per questo io NON ce l’ho, in generale, con gli sviluppatori che lo seguono. Ce l’ho con quei loro CLIENTI (nel caso in esame, principalmente enti/scuole pubbliche) che li pagano per fare le cose male, o le fanno male da soli, anche quando non serve a niente, violando così i doveri che hanno verso tutti i loro utenti cittadini, . Oppure andando, se privati, contro gli interessi dei loro clienti paganti, inclusi quelli che usano software proprietario. Un esempio adatto è l’home banking: se io a casa e in ufficio uso solo Windows/Explorer la mia banca DEVE comunque far fare un sito di home banking che funzioni con tutti i browser, perché ho diritto (ho pagato il servizio!) di usarlo anche dall’albergo in Polinesia dove hanno Linux o magari Windows 2000. Altrimenti cambio banca.

Il punto 1 sembra anche ignorare completamente cosa significa “pluralismo informatico”, e il fatto che almeno sulla carta, è già ampiamente riconosciuto a livello legislativo. I casi di pirateria informatica di cui ha colpa lo Stato (quelli di cui effettivamente parlavo) sono proprio quelli in cui lo Stato medesimo non garantisce quel pluralismo.

Sempre nello stesso contesto, il punto 2 a me suona come dire: lo studente che dopo aver pagato le tasse scolastiche non ha soldi rimanenti per comprarsi un computer abbastanza potente da far girare versioni abbastanza recenti di Openoffice (o anche MS Office craccato) da aprire documenti .docx, ma riceve appunti in quel formato dal suo professore (che li ha pubblicati in quel formato solo per ignoranza, non perché ce ne fosse alcun bisogno)… non lo vedo di buon occhio perché pretende di poter utilizzare quegli appunti tanto quanto chi aveva quei soldi!

Il punto 3 è talmente fuori tema che non ha nemmeno importanza se e quanto sia cretino. Se io mi costruisco da solo un’automobile che va con la stessa benzina delle Audi, non pretendo certo le stesse prestazioni. Però se il benzinaio non mi fa fare il pieno SOLO perché la mia auto è fatta in casa lo mollo in mezzo all’autostrada con la pompa in mano.

Insomma, è colpa dello Stato o no?

La pirateria informatica è colpa delle Pubbliche Amministrazioni quando esse producono o lasciano usare in ambito pubblico, ma senza un bisogno effettivo (com’è il caso nella grande maggioranza dei casi pratici nel contesto del mio articolo), formati e protocolli informatici non aperti, che costringono altri a usare solo certi programmi.

Ogni cittadino ha diritto ad avere servizi pubblici utilizzabili con qualsiasi sistema operativo, anche quelli legalmente gratuiti, visto che quei servizi li ha pagati a priori e che molto spesso il problema non è nemmeno il software. Un sito Web pubblico fatto con software proprietario può anche andar bene, se è effettivamente completamente utilizzabile da tutti, con qualunque sistema operativo e/o aplicativi Open Source.

Invece, sempre nel contesto di quell’articolo, produrre o richiedere documenti o servizi compatibili con uno specifico programma (qualunque essa sia, anche Open Source), anzichè con standard aperti, è una cosa intrinsecamente cretina. Il fatto che spesso succeda proprio così è spiegabile solo ricordando che siamo ancora agli albori dell’informatica, quindi i committenti (ripeto, ce l’ho solo con loro) non si rendono ancora conto che tollerare o fornire specifiche del genere è tanto intelligente quanto dire “sviluppatemi moduli cartacei compilabili con una penna Bic, poi eventualmente fateli anche compatibili con le Mont Blanc”.

Se oggi sembra ingenuo pretendere solo protocolli e formati di file aperti è un motivo per avere pazienza, non per rinunciare. Perché oggi il software, volenti o nolenti, fa legislazione (vedi il caso dei certificati di vaccinazione per computer). Quindi, poiché fare o “subire” le leggi è e deve rimanere competenza di politici e cittadini è indispensabile che questi capiscano che le decisioni strategiche sul software (tipo quali formati di file sono ammissibili in contesti pubblici) sono troppo importanti per lasciarle a programmatori e altri tecnici.